Parlamentari in pressing: "Non dovremmo parlare del suo contratto ma ora chiudere la partita col fondatore". E Beppe: "Si muore traditi dalle pecore"
Tutto finisce dove era cominciato. Se non altro perché la Liguria è la terra natale del fondatore, del «padre» del M5s, di Beppe Grillo. E proprio le regionali liguri, arrivate nel bel mezzo dello scontro tra Giuseppe Conte e il Garante, segnano un altro passo verso l'estinzione dei Cinque Stelle. Almeno per come li abbiamo conosciuti fino a ora. Un 4,8% che ha fatto parlare a Conte di «un risultato deludente, al di sotto delle aspettative». L'ennesima batosta in serie, che accresce i malumori interni ai parlamentari. Nella contesa con Grillo, quasi tutti stanno con il fondatore. Ma ognuno dei deputati e dei senatori del M5s è preoccupato dallo spettro dell'evaporazione dei Cinque Stelle, vaticinata da Grillo nel suo ultimo video diffuso sui social. «Qua il problema non è Beppe (Grillo ndr.), ma sono i candidati che non conosce nessuno», spiega un deputato pentastellato. «Non dovremmo parlare del contratto di Grillo, ma di come darci una struttura sul territorio», gli fa eco un collega. Insomma, l'invito a Conte è quello di fare presto con l'assemblea Costituente e chiudere la «pratica-Grillo». Altrimenti, è la paura, «nessuno di noi sarà rieletto, anche con il terzo mandato». Lo scenario temuto è un tracollo inarrestabile del M5s alle prossime elezioni politiche, previste nel 2027. Con conseguente terrore di perdere il seggio in Parlamento. Sono diverse le priorità di Conte, che invece punta a riempire le liste di esterni all'appuntamento elettorale atteso fra tre anni. E, nel gruppo parlamentare, c'è chi scommette: «Alcuni potrebbero andare via dal Movimento durante il prosieguo di questa legislatura».
Dunque, Grillo sembra già sullo sfondo, anche se ha provato a prendersi di nuovo la scena con una storia su Whatsapp, poi cancellata. «Si muore più traditi dalle pecore che sbranati dal lupo», è il messaggio - di autore anonimo - condiviso dal Garante. Si fa sentire anche la vicepresidente del Senato Mariolina Castellone, che invita «a fermarsi e ripartire dalla nostra storia».
Ma Conte, consapevole di non avere avversari interni in grado di impensierirlo, gigioneggia. «Le leadership sono sempre in discussione, nel momento in cui non c'è consenso della comunità, al di là delle scadenze. Infine la frecciata a Matteo Renzi, sul quale resta il veto di Conte. «Da dove l'ha detto, da Riad?», risponde a una domanda sulle parole del leader di Italia Viva in merito al ruolo che i renziani avrebbero potuto giocare nella partita ligure. Sempre sullo sfondo, volano gli stracci tra due big storici. L'ex ministro Danilo Toninelli parla di «partito di Conte» e di «candidati di Conte non votati dagli iscritti» in Liguria. Risponde l'ex senatrice Paola Taverna, in un video: «Caro Danilo, questa non era la lista di Conte ma del M5s e se oggi abbiamo il 4,5% dipende anche da una guerra interna che sta facendo molto male al Movimento». Colpa di Grillo, quindi. Che non è nemmeno andato a votare e ha sostenuto, più o meno sotterraneamente, la lista dell'ex Nicola Morra.
Restano i numeri. Un filotto negativo che quest'anno è partito dalla Sardegna, con il 7,7% raccolto dalla lista del M5s a febbraio scorso. Anche alle regionali in Abruzzo il M5s si è tenuto al di sotto del 10%, conquistando il 7% a marzo. 7,6% in Basilicata ad aprile.
Sequenza completata dalla performance del Piemonte, dove i pentastellati correvano da soli, e hanno racimolato, come voto di lista, un misero 6%. Nella fotografia dell'annus horribilis non può mancare il risultato delle europee, competizione dove il M5s si è fermato poco sotto il 10%.