La maggior parte della popolazione della Striscia di Gaza non rivedrà mai più la propria casa, ridotta in macerie dopo un oltre un anno di bombardamenti israeliani. Un trauma, racconta Fidaa, un’operatrice Oxfam che prima dell’inizio della guerra abitava nel nord di Gaza e ora passa da un rifugio a un altro. “Ho perso casa mia, ho perso il diritto a tornare a casa mia. Non mi basterà una vita intera per superare questa cosa”.
La situazione soprattutto per chi è rimasto al nord è più che catastrofica. “La situazione nel nord di Gaza è ormai più che catastrofica e le famiglie lì non hanno letteralmente nulla da mangiare. Anche nel sud di Gaza la situazione si sta rapidamente deteriorando, con quasi nessun cibo rimasto nei mercati di Deir El Balah” è l’allarme di Sally Abi Khalil, direttore di Oxfam per il Medio Oriente. “La carestia incombe da mesi e le agenzie umanitarie come Oxfam hanno ripetutamente messo in guardia su quanto sia orribile la situazione, ma ci è stato sempre impedito di portare aiuti sufficienti nella Striscia”.
Questo racconto fa parte di ‘Voci di Gaza’, una serie di testimonianze degli operatori e dei manager di Oxfam a Gaza che ilfattoquotidiano.it ha deciso di pubblicare fin dall’inizio del conflitto. L’obiettivo è avere un racconto in prima persona da parte dei civili che si trovano nella Striscia, coloro che stanno pagando il prezzo più alto.
LA PETIZIONE – Oxfam ha lanciato una raccolta firme (si può aderire qui) per “fermare tutti i trasferimenti di armi, componenti e munizioni utilizzate per alimentare la crisi a Gaza”. Un appello rivolto ai governi perché non siano “complici delle continue violazioni del diritto internazionale, adempiendo ai loro obblighi legali e garantendo un cessate il fuoco permanente al più presto”.
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