Con la scusa del terrorismo la Turchia sta bombardando a tappeto il Kurdistan

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Dopo l’attacco di ieri alla sede delle industrie aerospaziali turche TUSAS vicino ad Ankara, il Presidente Erdogan ha trovato il pretesto perfetto per intensificare i propri attacchi nel Kurdistan. Ieri, poco prima di mezzanotte, l’aviazione turca ha colpito obiettivi in quasi tutta la regione, dal Rojava (il cosiddetto “Kurdistan siriano”) al Kurdistan del sud (definito gergalmente come “Kurdistan iracheno”). Bersagliate infrastrutture energetiche, distrutti siti di stoccaggio per il grano, e oltre dieci morti nel Rojava, dove, in generale, quasi tutta l’area di confine con la Turchia risulta sotto il fuoco di Ankara. Bombardamenti ininterrotti per una ventina di minuti nel Kurdistan meridionale, dove sono state colpite anche abitazioni civili. Con la scusa del “terrorismo”, insomma, procede senza sosta la campagna di devastazione del Kurdistan, intensificandosi ogni giorno di più.

I bombardamenti turchi nelle aree del Rojava e del Kurdistan del sud sono iniziati nelle ultime ore di ieri, e sono andati avanti tutta la notte. Nel pomeriggio, poco dopo l’attacco alla sede TUSAS, il ministro della difesa turco ha attribuito la responsabilità dell’azione al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), l’organizzazione armata che lotta per l’autonomia dei curdi. L’attacco a TUSAS ha funto così da pretesto perfetto per intensificare l’offensiva sul Kurdistan. La maggior parte degli attacchi si è concentrata sul Rojava. Sette distinti bombrdamenti con droni hanno colpito il centro della città di Kobane, distruggendo infrastrutture civili e danneggiando una centrale elettrica, lasciando la città senza elettricità; nella stessa regione di Kobane sono stati presi di mira diversi villaggi nei pressi della città di Manbij, bersagliati con colpi di artiglieria. Presso la città di Derik (nome curdo di Al-Malikiyah) sono state lanciate decine di colpi contro una centrale energetica a gas, e sono state prese di mira le aree rurali. La maggior parte dei danni sono stati fatti nei pressi di Qamishlo, dove sono stati presi di mira silos per il grano, edifici delle forze di sicurezza interne, e un centro sanitario. Nella regione di cui Qamishlo risulta capitale, sono state gravemente danneggiate due strutture petrolifere e una centrale elettrica. Danni anche su diverse aree di Tal Rifat. Complessivamente, sono state uccise circa quindici persone. Parallelamente, sono andati avanti anche gli attacchi nel Kurdistan meridionale. Qui è stato segnalato un bombardamento su larga scala nelle aree di Medya, mentre la regione di Garê, veniva colpita da aerei da combattimento e droni. Attacchi aerei anche su distretti delle città di Sulaymaniyya, Dihok e Sinjar.

L’aggressione turca contro la popolazione curda va avanti da tempo, ma è tornata a intensificarsi lo scorso ottobre, dopo che due agenti sono stati feriti nel corso di un attacco ad Ankara all’inizio di quel mese – il primo dal 2016, la cui paternità è stata rivendicata da un ramo del PKK. Durante le aggressioni curde, la popolazione civile diventa obiettivo primario. Da quel momento sono aumentati gli attacchi nel Rojava, dove la Turchia sta compiendo veri e propri crimini di guerra, e portando avanti una campagna di repressione etnica ignorata dai Paesi occidentali per convenienze geopolitiche che si attuano in una impassibile forma di realpolitik. Anche la repressione nel Kurdistan meridionale non si è mai fermata, e, ormai, con la scusante di combattere i guerriglieri curdi, la Turchia sta di fatto occupando la regione. Si sta rendendo a tal proposito sempre più evidente il doppio gioco che Erdogan sta facendo nel condannare il massacro palestinese da una parte per continuare a perpetrare la propria personale rappresaglia etnica dall’altra, nell’assoluta libertà garantita dal silenzio generale.

[di Dario Lucisano]

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