Dopo Volkswagen e Audi, anche l'azienda americana si prepara a licenziare il 14% della sua forza lavoro totale nel Vecchio Continente
Dopo Volkswagen e Audi, per non parlare dei fornitori (Michelin e Schaeffler, per esempio), anche Ford taglierà la propria forza lavoro in Europa. A perdere il posto saranno circa 4.000 addetti, dei quali 3.000 in Germania e almeno 800 nel Regno Unito, il 14% dei 28.000 occupati del gruppo americano nel Vecchio continente. Il provvedimento scatterà entro la fine del 2027 e viene giustificato da Dave Johnston, vicepresidente di Ford con delega al mercato europeo, “allo scopo di garantire la futura competitività del marchio”. Tutti segnali che lasciano presagire l’abbattimento di un vero tsunami, tra la fine del 2024 e soprattutto il prossimo anno, sull’industria automotive e il suo indotto in Europa. Chi sarà, intanto, il prossimo a mettere mano alle forbici?
Desta sempre preoccupazione, in proposito, la situazione di Stellantis che, a fino a questo momento, ha limitato agli Stati Uniti l’avvio di procedimenti drastici, come i 4.000 tagli decisi dallo scorso settembre, che hanno comportato un forte scontro con il sindacato Uaw. A parte le tante uscite volontarie insieme ai prepensionamenti, riuscirà l’ad Carlos Tavares a tenere integra, da questa parte dell'Atlantico, una struttura produttiva che, soprattutto in Italia, è in forte sofferenza e che ha negli ammortizzatori sociali un precario salvagente?
Tutto questo è il risultato delle decisioni politiche prese dalla precedente Commissione Ue attraverso l’imposizione del passaggio del settore al “tutto elettrico” dal 2035 senza considerare gli imprevisti (pandemia, guerre, crisi energetiche) e gli effetti che una simile svolta, sposata colpevolmente a occhi chiusi dalle stesse Case automobilistiche che ora sono costrette a ripensamenti e cambi di strategie, avrebbe avuto sull’intera catena produttiva con le conseguenti ricadute occupazionali. Per non parlare delle tardive prese di posizione di Bruxelles rispetto a una concorrenza cinese sempre più agguerrita e strutturata. Anche il fondamentale impatto sul mercato delle scelte fatte non è stato preso in considerazione.
E mentre Volkswagen e Audi chiudono le prime fabbriche nell’ormai ex “locomotiva” Germania e in Belgio, mentre Ford comunica tagli sempre in Germania e nel Regno Unito, da Bruxelles continuano a non arrivare segnali concreti per cercare di porre velocemente rimedio al problema, soprattutto attraverso la revisione delle normative all'origine della crisi.
La “maggioranza Ursula bis”, infatti, si è avvitata su screzi interni e di tenuta, tra cui l’assegnazione di una vicepresidenza all’italiano Raffaele Fitto, dopo aver puntato sulla spagnola Teresa Ribera, nota come “eco-talebana” e con visioni ben più ideologiche rispetto al suo predecessore Frans Timmermans, per guidare le scelte ambientali del nuovo esecutivo. E l’industria automotive che sta crollando? E i lavoratori che vanno a casa e restano senza salario?
”Il problema dell’auto ha una portata europea e la sua soluzione sta in Europa”, ha ribadito con forza il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che il prossimo 28 novembre presenterà, in occasione del Consiglio competitività, il “non paper” definito insieme al governo ceco e che è stato sottoposto all’adesione degli altri esecutivi europei. “Il rischio - spiega Urso - è che le aziende del settore auto potrebbero incorrere in multe fino a 15 miliardi di euro, un macigno che schianterebbe il settore europeo. Occorre fare presto”.
E Massimo Artusi, presidente di Federauto, la federazione dei concessionari italiani: “Mentre le istituzioni europee sono bloccate da veti contrapposti che ne rallentano l'esecutività, l’industria europea automotive e le reti distributive sono in grave difficoltà per il mancato decollo delle vendite di vetture elettriche e per le conseguenti pesanti multe causate dai mancati obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 dal terminale di scarico.
Il risultato è che cresce, e non solo nel nostro Paese, il coro di quanti ritengono non più rinviabile una sostanziale correzione di rotta, nel segno del pragmatismo, dei regolamenti Ue per la transizione verso la decarbonizzazione dei trasporti".