“Ecco come Trump vuole trattare la stampa libera”: l’addio al Washington Post dopo il “bavaglio” di Bezos

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Media & Regime

 l’addio al Washington Post dopo il “bavaglio” di Bezos

Lettori che annullano l’abbonamento, giornalisti di punta della redazione indignati, mentre uno dei cronisti veterani della testata si è dimesso. Una scelta “facile”, ha detto, date le circostanze. Il Washington Post è in subbuglio dopo la decisione del proprietario Jeff Bezos di archiviare la tradizione della testata, ininterrotta dal 1976 (ad eccezione del 1988 nella sfida George HW Bush e Michael Dukakis, in cui non si espresse a favore di nessuno dei due), di sostenere il candidato democratico. Il tutto a 12 giorni dall’Election Day del 5 novembre, ovvero dal giorno in cui gli americani decideranno il prossimo inquilino della Casa Bianca.

“Un tentativo per non stare dalla parte sbagliata” – “È stata una decisione molto facile” quella di lasciare il giornale per Robert Kagan, redattore capo ed editorialista di lunga data del WP, che ha spiegato: “È una specie di inginocchiamento preventivo nei confronti di chi possono pensare sia il probabile vincitore. Chiunque faccia parte dell’economia americana quanto Bezos… ovviamente vogliono avere un buon rapporto con chiunque sia al potere. È un tentativo per non stare dalla parte sbagliata di Donald Trump“. E ai microfoni di Cnn Kagan ha spiegato che Trump ha chiaramente dichiarato di volere attaccare i media che non saranno dalla sua parte e dopo quanto successo al WP “abbiamo un chiaro segno di come intenda trattare la stampa libera americana, specialmente quando i proprietari dei media sono corporation titaniche che hanno molto da perdere se Trump è arrabbiato con loro”.

La scelta analoga del Los Angeles Times – Già negli anni della presidenza, Trump era stato molto critico nei confronti del miliardario e del Post, e ancora non si conoscono i motivi che hanno indotto Bezos a cambiare la politica rispetto all’endorsement nell’ultimo miglio di campagna elettorale. In una causa del 2019, Amazon affermò di aver perso un contratto da 10 miliardi di dollari con il Pentagono per le pressioni dell’ex presidente, che aveva preferito Microsoft “per danneggiare il suo presunto nemico politico”. E il timore di perdere decine di dollari di contratti federali, oltre a eventuali ritorsioni economiche e legislative, è stata la miccia che ha determinato il blocco dell’endorsement a Kamala Harris anche al Los Angeles Times, dove il responsabile della pagina degli editoriali e altri due grandi firme hanno lasciato il giornale (anche in questo caso è di proprietà di un miliardario, Patrick Soon-Shiong). Robert Greene, premio Pulitzer, e la collega Karin Klein hanno annunciato le dimissioni, all’indomani dell’addio al giornale di Mariel Garza, che aveva già steso la bozza in appoggio della democratica bloccata dal proprietario.

Bernstein e Woodward: “Ignorate le prove sulla minaccia che Trump rappresenta per la democrazia” – Così come al Los Angeles Times, ora è al Washington Post che tocca gestire l’ondata di disapprovazione da parte dei suoi lettori e cronisti. Per quanto un articolo della stessa testata, che giustifica la decisione come un “ritorno alle origini”, sottolinei come alcuni abbonati siano soddisfatti della scelta in favore di un punto di vista neutrale, sui social sono una valanga i commenti critici alla scelta di sospendere il tradizionale endorsement. E tra le voci che bocciano Bezos ci sono anche Bob Woodward e Carl Bernstein, autori del Watergate, il più importante scandalo politico degli Usa, pubblicato proprio dal Post nel 1972: “Rispettiamo la tradizionale indipendenza della pagina editoriale, ma questa decisione a 12 giorni dalle elezioni presidenziali del 2024 ignora le schiaccianti prove giornalistiche del Washington Post sulla minaccia che Donald Trump rappresenta per la democrazia. Sotto la proprietà di Jeff Bezos – continuano i due giornalisti -, l’attività di informazione del Washington Post ha utilizzato le sue abbondanti risorse per indagare rigorosamente sul pericolo e il danno che una seconda presidenza Trump potrebbe causare al futuro della democrazia americana e ciò rende questa decisione ancora più sorprendente e deludente, soprattutto in questa fase avanzata del processo elettorale”.

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