«Fratture del femore, ogni istante è prezioso»

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«Trattare rapidamente la frattura del femore, nei pazienti anziani, significa ridargli quanto prima un minimo di autonomia per avere una vita decorosa». A spiegarlo è Olimpo Galasso, primario della clinica ortopedica universitaria del Ruggi di Salerno, ai primi posti della classifica Agenas per il numero di interventi chirurgici per questo tipo di fratture entro 48 ore dall'arrivo in ospedale.

Un bel risultato?
«Siamo particolarmente orgogliosi dei risultati raggiunti, che hanno un enorme valore sociale per il trattamento che questa patologia rappresenta. Dietro questo progetto ci sono pazienti fragili, nella maggior parte dei casi con più di 80 anni di età. I numeri dicono che siamo tra le prime aziende a livello nazionale, in riferimento al volume di attività. Ovviamente, una cosa è parlare di 50 casi trattati in un anno e un'altra sono 350 casi. Volendo stilare una classifica nazionale, siamo ai primissimi posti. Questo dato deve essere incrociato con quello della tempistica».

Che significato assume intervenire rapidamente nel trattamento di questo tipo di fratture in pazienti così anziani?
«A volte guardiamo ai numeri, perché sintetizzano una attività in maniera estrema e ci consente di misurare quello che noi facciamo, confrontandoci con gli altri. Dietro questi numeri c'è anche la qualità, perché non è solo operare il paziente nei tempi giusti, ma soprattutto rimetterlo nelle condizioni di salute generale ideali per poter riprendere una vita autonoma. E questo non è scontato nel paziente anziano. Parliamo di pazienti spesso allettati, con altre patologie, meno seguiti, perché il paziente anziano, per quello che è il sistema sociale, è alle volte un po' trascurato. Sono pazienti che vanno riequilibrati dal punto di vista cardiologico, metabolico, respiratorio».

La caratteristica del vostro «progetto attesa zero» è proprio l'accompagnamento del paziente dall'arrivo in ospedale fino alla fase riabilitativa.
«Questi risultati si possono ottenere solo con una buona organizzazione del lavoro e soprattutto con un lavoro di squadra. Dietro l'ortopedico c'è un'assistenza infermieristica particolarmente impegnativa, un percorso che deve essere organizzato per la riabilitazione, perché parliamo di un paziente che deve essere mobilizzato rapidamente. Il paziente anziano quanto più tempo trascorre a letto tanto più difficoltà avrà a raggiungere un minimo di autonomia per avere una vita decorosa. C'è quindi il medico, l'infermiere, il fisioterapista, l'assistente sociale, che indirizza il paziente dopo l'intervento per l'avvio nelle strutture di riabilitazione».

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Siamo in un periodo dove c'è carenza di vocazione per l'ortopedia, a cui si aggiunge anche il mancato accreditamento della scuola di specializzazione all'Università di Salerno. La preoccupa?
«Mantenere questi risultati, con risorse limitate, non è facile. Richiede un impegno da parte di tutti gli operatori che va ben oltre quello che a volte riusciamo a immaginare. Il mancato accreditamento è frutto della mancata presenza di un secondo docente. L'Università è corsa ai ripari, ma non c'è stato il tempo per bandire un secondo concorso. In queste settimane sono seguiti una serie di incontri istituzionali. L'Università ha espresso una assoluta determinazione nel colmare questo difetto. Speriamo di avere quanto prima un secondo docente. È a cuore di tutti recuperare la scuola di specializzazione. C'è stata, poi, una congiuntura sfavorevole, perché quest'anno, dei tre campani, due atenei non hanno ricevuto l'accreditamento. Per la Vanvitelli credo che sia legato al volume di attività chirurgica. Qui non abbiamo questo problema. Abbiamo anche tanti posti letto. Il contenzioso medico-legale, poi, insieme al grande impegno lavorativo, in molti casi, scoraggia tanti giovani ad avvicinarsi alla specializzazione di ortopedia».

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