Google e quel test sui contenuti giornalistici: cosa sta succedendo

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Il test avviato il 14 novembre ha portato alla rimozione dei contenuti di editori europei dai risultati di ricerca, da Google News e dal feed Discover

 cosa sta succedendo

L'informazione digitale è davvero libera? I dubbi esistono, soprattutto da quando Google, attraverso i suoi strumenti come Search e Discover, gode della massima indiscrezione sulla valutazione di ciò che viene pubblicato. Fino ad arrivare all'accusa di censura, dopo che un test avviato il 14 novembre ha portato alla rimozione dei contenuti di editori europei dai risultati di ricerca, da Google News e dal feed Discover. Una cancellazione che ha coinvolto l’1% degli utenti in otto Paesi, tra cui l’Italia.

Secondo Mouintain View si è trattato solo di una prova per valutare l’impatto dei contenuti giornalistici sulla ricerca e sul traffico verso gli editori. Ma come capita spesso, dai test al pericolo il passo è a pochi clic. tanto che un tribunale di Parigi ha minacciato una multa fino a 900mila euro giornalieri in caso di prosecuzione dell’attività di controllo. Google ha reagito difendendo il proprio operato, ma intanto gli articoli rimossi verranno temporaneamente sostituiti da risultati provenienti da siti non europei. L’azienda ha anche assicurato che questa fase non influenzerà i pagamenti previsti dagli accordi di licenza sottoscritti in base alla direttiva europea sul copyright, ma le principali associazioni di editori europei sono insorte definendo il test un atto unilaterale e poco trasparente.

Tutto nasce da quando la European Copyright Directive, approvata nel 2019, ha introdotto l’obbligo per le piattaforme online di remunerare gli editori per l’utilizzo dei loro contenuti. Per adeguarsi, Google ha avviato il programma Extended News Previews, stanziando un miliardo di dollari e firmando accordi con oltre 4.000 pubblicazioni in Europa. Tuttavia, nonostante gli investimenti, il colosso ha spesso mostrato riluttanza verso la regolamentazione, temendo che questa possa limitare il suo modello di business (politica che accomuna altre Big Tech). Così, sempre in Francia, Google è già stata multata per 250 milioni di euro con l’accusa di non aver negoziato in buona fede i termini degli accordi di licenza e di aver utilizzato contenuti giornalistici per addestrare le proprie intelligenze artificiali, come Gemini.

Il discorso sulla censura delle informazioni sulla Rete è sempre più pressante: uno studio pubblicato a fine 2023 dal centro di ricerca Comparitech segnalava che questa era in aumento in ben ventisette Paesi del mondo, ventiquattro in più rispetto all’anno precedente nel quale a superare i limiti tollerati erano Cina, Iran e Corea del Nord. Se alla censura politica si aggiunge ora il controllo diretto delle aziende che dominano il mondo virtuale, la situazione diventa ancor più rischiosa: già in passato Google aveva oscurato alcuni siti d’informazione in California, così come addirittura aveva pensato di chiudere in Australia il suo motore di ricerca proprio perché costretta da una legge a remunerare gli editori. A questo si aggiunge che Big G gestisce in quasi monopolio il traffico verso i siti di informazione, con i suoi algoritmi che definiscono la visibilità dei contenuti, influenzando l’economia digitale. In più, la personalizzazione di Discover - basata su abitudini e interessi degli utenti - offre un feed che promuove articoli e notizie di attualità, alimentando un ecosistema in cui la piattaforma agisce da intermediario quasi esclusivo.

Per questo il test incriminato ha portato ora alla richiesta di sospensione degli editori, perché così "Google valuterà Google sulla base di parametri di ricerca determinati da Google".

Ed essendo in corso appunto un bilanciamento economico per l’utilizzo delle notizie, il tutto è suonato come un avvertimento arrivato nella fase negoziale. In cui la libertà potrebbe essere appunto a rischio. O quantomeno sottopagata.

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