Ambiente & Veleni
di Luisiana Gaita | 19 Novembre 2024
Senza un accordo sulla nuova struttura della finanza internazionale sul clima, la Cop29 di Baku può dirsi fallita. Ed è per questo che dal G20 in corso in Brasile è arrivato il sostegno a un accordo che, a dire il vero, i Paesi stanno ancora facendo fatica a stringere. Ma se sul fronte delle risorse necessarie per la transizione ecologica gli osservatori nutrono speranze, non sono certo positivi i segnali sulla mitigazione, quindi sugli impegni per ridurre le emissioni, abbandonando l’era dei combustibili fossili. Neppure i segnali che arrivano dal G20 sono incoraggianti. Nella dichiarazione finale non appare un chiaro indirizzo sull’uscita dall’era fossile, sebbene vengano citati i risultati raggiunti durante la Cop28 di Dubai dello scorso anno, dove per la prima volta i combustibili fossili erano stati inseriti in un documento ufficiale. E non si tratta di un’aggiunta (o un’omissione) di poco conto, dato che mancano tre mesi al termine entro cui i Paesi dovranno inviare i proprio Ndc, ossia i contributi determinati a livello nazionale nei quali presentare anche gli obiettivi di riduzione delle emissioni. Questi, dunque, i temi di cui si discute anche nella giornata che la Cop29 in corso in Azerbaigian dedica ad alimentazione, agricoltura e acqua, dopo l’Accordo preso a Rio de Janeiro contro la fame e le parole della premier Meloni (per la sicurezza alimentare, ma contro il cibo che definisce ‘sintetico’).
A che punto è la Cop sui finanziamenti – In Brasile, i Paesi del G20 hanno anche espresso il loro sostegno a un accordo finanziario forte, sottolineando la necessità di “accelerare la riforma dell’architettura finanziaria internazionale”. L’intesa sul nuovo obiettivo collettivo quantificabile (Ncqg) è il risultato principale che ci si attende alla Cop. La bozza del testo negoziale arrivata alla Conferenza dopo mesi di negoziati era di nove pagine. A Baku è stata ampliata a 34 e poi ridotta a 24, ma si attende una nuova e più agile versione nelle prossime ore. Nonostante i progressi, il quantum resta in gran parte irrisolto: i paesi in via di sviluppo propongono cifre che vanno da 400 miliardi a 2 trilioni di dollari, mentre gli Stati Uniti suggeriscono un tetto di 100 miliardi di dollari, dunque uguale a quello stabilito nel 2009 a Copenaghen. E insufficiente rispetto alle esigenze. Ferma la discussione su chi debba pagare con richieste alle nazioni sviluppate di assumersi maggiori responsabilità rispetto alle proprie emissioni, incoraggiando al contempo le economie emergenti a contribuire. Dal G20, inoltre, arriva anche il supporto per nuovi contributi per il Fondo per lo sviluppo di Banca Mondiale, creato nel 1960 e rifinanziato ogni tre anni. “Ad oggi sono oltre 50 i Paesi finanziatori attraverso risorse raccolte sui mercati dei capitali, rimborsi e contributi propri della Banca Mondiale” spiega il think tank Ecco, ricordando che “molti paesi in passato beneficiari come Cina, Cile, India, Corea del Sud e Turchia oggi contribuiscono al fondo come donatori”.
Adattamento e perdite e danni, il piatto piange – Sulle risorse da destinare, in particolare, ai progetti e agli interventi di adattamento al cambiamento climatico i negoziati sono in alto mare. Intanto, non è ancora chiaro se entrerà a far parte dell’obiettivo collettivo. Il fondo avrebbe dovuto raggiungere i 300 milioni di dollari, ma finora si sono di poco superati i 100 milioni. Lo stesso Simon Stiell, segretario dell’agenzia dell’Onu per il clima (Unfccc), ha espresso rammarico la mancanza di progressi sostanziali, mentre “i costi dell’adattamento stanno schizzando per tutti, specialmente per i Paesi in via di sviluppo e potrebbero salire a 340 miliardi all’anno nel 2030 – ha detto – raggiungendo 565 miliardi all’anno nel 2050”. Questa settimana si discuterà sia del testo che riguarda l’obiettivo globale di adattamento, sia dei piani nazionali di cui i paesi devono dotarsi. Sul fondo per le perdite e i datti, il Wwf segnala “la riluttanza degli Stati Uniti a impegnare risorse sostanziali” che continua a ostacolare i progressi “sollevando preoccupazioni su equità e responsabilità”.
Emissioni e combustibili fossili – Per quanto riguarda le emissioni, nella dichiarazione finale del G20 non appare un chiaro indirizzo sull’uscita dei combustibili fossili. Si ribadisce l’impegno di eliminare gradualmente e razionalizzare, nel medio termine, i sussidi inefficienti ai combustibili fossili. Non è pura formalità quel passaggio ‘sulla transizione dai combustibili fossili’ presente nel documento finale della Cop28 dello scorso anno. Un passaggio storico, sebbene si parlasse di ‘transizione’ e non di ‘uscita’. Il G20 fa meno e questo preoccupa, anche perché a Baku i sauditi si stanno molto adoperando per fare passi indietro rispetto a quella dichiarazione, anche se una grande coalizione di paesi sviluppati e in via di sviluppo ha respinto questa proposta. Nel frattempo, Regno Unito, Nuova Zelanda e Colombia si sono uniti alla coalizione per eliminare gradualmente i sussidi ai combustibili fossili, che comprende altri 13 Paesi, tra cui Francia, Belgio, Spagna, Regno Unito. Ma non l’Italia.
L’agricoltura, le emissioni e le lobby – In tema di emissioni e nel giorno che la Cop dedica all’agricoltura va sottolineato che l’agricoltura globale (allevamento compreso) contribuisce al cambiamento climatico con il 35% delle emissioni di anidride carbonica, metano e protossido di azoto. Proprio in queste ore, De Smog e il Guardian hanno pubblicato un’analisi, secondo cui centinaia do lobbisti dell’agricoltura industriale stanno partecipando al vertice sul clima, tra cui l’azienda brasiliana di confezionamento della carne Jbs. Il tutto, nelle stesse ore in cui dalla Danimarca arriva la notizia dell’accordo tra una larga maggioranza di partiti sulla prima tassa, a decorrere dal 2030, sulle emissioni di gas serra nel settore agricolo. Quando si parla di crisi climatica, però, l’agricoltura è anche uno dei settori che ne è più colpito. E l’Italia lo sa bene.