Tre anni fa era stato visto scattare fotografie tra Capodimonte e il museo archeologico nazionale di Napoli. Stavolta qualcuno lo ha riconosciuto nei vicoli del centro, sempre con la sua migliore amica addosso, la Leika Sl3 di cui è testimonial.
Curioso, agile, sempre in movimento fisico e mentale a dispetto dei 74 anni: è Steve McCurry, statunitense, tra i fotografi più famosi al mondo e autore di uno degli scatti più conosciuti della storia, quello alla ragazza afgana Sharbat Gula, finito in copertina su un numero del «National Geographic» nel 1985.
Nel 2021 stava conducendo un progetto sul patrimonio culturale partenopeo, cosa lo ha portato di nuovo sotto il Vesuvio?
«La vita di un fotografo è divisa tra committenze e progetti personali. In questo caso sono a Napoli per la parte migliore del mio lavoro, scatto in completa libertà, avevo voglia di passare del tempo qui e fare immagini per il mio portfolio, e anche documentare il mio lavoro sulla città», risponde nella casa dei Quartieri spagnoli che ha affittato per una settimana con Eolo Perfido, fotografo e suo storico collaboratore, romano ma cresciuto a Napoli.
Ha quindi un progetto su Napoli?
«Non solo, sto realizzando un volume di foto su tutta Italia, sulle sue grandi città, ma Napoli ha uno spazio importante, con la città sento una connessione speciale».
In cosa consiste questa connessione?
«La sento sia dal punto di vista fotografica che umano perché per me i due sguardi non sono mai separati. Napoli è una città estroversa, dove tutto è esposto, a differenza di altri posti del mondo dove le cose tendono sempre più a essere private, nascoste, chiuse, questo luogo ci mette la faccia. Tutto ciò che succede accade in modo visivo, lo percepisci ovunque, e questa è un'opportunità unica per un fotografo. Mi attraggono la confusione, la luce, il colore: mi sembra di intercettare vita vera, qui».
Lei parla della «imperfetta bellezza di ciò che avviene a Napoli».
«La si trova nello scarto tra ciò che non funziona e la trasformazione continua, per me è un valore aggiunto: mi permette di accedere a una umanità preclusa nelle città dove tutto è organizzato e sanificato, uguale e omologato, Napoli mantiene invece una violenza estetica seducente: Quartieri Spagnoli, Sanità, Forcella hanno un profumo speziato, nella bolgia di turisti e abitanti, che provo a tradurre dal punto di vista visivo».
Produrre immagini è sempre il miglior modo di entrare in contatto con mondi altri, per mediare tra sé e il mondo?
«Per me la fotografia svolge due ruoli: è prima di tutto un grande strumento di conoscenza personale. E poi c'è il lato della trasmissione, a chi guarda i miei scatti, del mio punto di vista».
Lei ha girato il mondo: a fine anni '70, travestito con abiti tradizionali, ha attraversato il confine tra il Pakistan e l'Afghanistan poco prima dell'invasione sovietica; da quel reportage uscirono gli scatti che gli valsero il Premio “obert Capa” Ma in tante altre occasioni, dalla Cambogia al Golfo persico, è stato nei teatri di guerra, scenari che oggi si stanno riproponendo prepotentemente. Ha ancora voglia di testimoniare da vicino i drammi del nostro tempo?
«Sono stato due volte, nell'ultimo anno, in Ucraina, in completa autonomia e per questo ho affrontato spostamenti complicati, gestendoli con un po' di esperienza, dovendomi muovere quasi in anonimo: alcuni personaggi più in vista possono diventare bersagli sensibili. Ma non ho paura, conserva la voglia di tornare nei luoghi dei conflitti, credo che l'anno prossimo sarò di nuovo in viaggio verso Paesi in guerra».
Che idea si è fatto delle tensioni del presente?
«Ho sempre diviso l'analisi del presente tra un tempo lungo, storico, in cui vedo comunque l'umanità progredire: non c'è più la schiavitù, sono estinte molte malattie e persino la fama sta diminuendo, insomma si voce meglio di due secoli fa. Dall'altro, su un piano più immediato, vedo i popoli riaffacciarsi su divisioni che parevano superate. Sono due realtà che stranamente convivono. Non ho risposte precise, ma queste, lo so per averglielo chiesto, mancano anche a chi ci governa; da padre di famiglia mi auguro che ogni guerra finisca».