Israele continua a fare strage di civili mentre a Doha riprendono i colloqui di pace

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Continua la strage di civili nella Striscia di Gaza da parte di Israele, mentre domenica 27 ottobre sono ripresi i colloqui di pace a Doha, in Qatar. L’esercito israeliano ha ucciso almeno 50 persone in meno di un giorno nell’ambito della rinnovata offensiva aerea e terrestre condotta contro il nord dell’enclave palestinese e iniziata lo scorso sei ottobre. Lo riferisce il media qatariota Al-Jazeera, mentre altre fonti parlano di almeno 70 vittime negli ultimi due giorni. Il numero di morti e feriti e la situazione drammatica a cui i residenti sono costretti ha portato il capo delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, a definire «insopportabile» la condizione dei civili nel nord di Gaza. «Il Segretario generale è sconvolto dagli strazianti livelli di morte, feriti e distruzione nel nord, con civili intrappolati sotto le macerie, malati e feriti privi di cure mediche salvavita e famiglie senza cibo e riparo, mentre si segnalano famiglie separate e numerose persone detenute. I ripetuti sforzi per consegnare rifornimenti umanitari essenziali per sopravvivere, come cibo, medicine e riparo, continuano a essere negati dalle autorità israeliane, con poche eccezioni, mettendo a rischio innumerevoli vite», ha dichiarato il portavoce del Segretario generale dell’ONU.

Nel frattempo, domenica i direttori della CIA e il capo del Mossad, David Barnea, si sono recati a Doha per incontrare il primo ministro del Qatar e discutere un accordo per il cessate il fuoco a Gaza, con la mediazione di Stati Uniti e Egitto. I colloqui sono ripresi dopo circa tre mesi: si erano, infatti, interrotti dopo l’uccisione in Iran – attribuita a Israele – del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh. Secondo un funzionario israeliano citato dal Times of Israel, Hamas non sarà coinvolta in questo ciclo di incontri, ma potrebbe partecipare successivamente. Contemporaneamente, anche l’Egitto ha avanzato una proposta per un cessate il fuoco iniziale di due giorni per scambiare quattro ostaggi israeliani detenuti da Hamas con alcuni prigionieri palestinesi. Il presidente egiziano Al-Sisi ha affermato che i colloqui di pace dovrebbero riprendere entro dieci giorni dal cessate il fuoco temporaneo per giungere ad un cessate il fuoco permanente. Lo ha detto in una conferenza stampa al Cairo a cui era presente anche il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune.

Le Forze di difesa israeliane (IDF) hanno ripreso da circa tre settimane le operazioni militari nel nord della Striscia per sgominare le unità di Hamas che si sarebbero reinsediate negli ultimi mesi nell’area. Secondo Al-Jazeera, che cita il Ministero della Sanità di Gaza, in questo periodo gli attacchi contro le città di Jabalia, Beit Hanoon e Beit Lahia avrebbero provocato più di mille morti, con un picco di vittime negli ultimi tre giorni. In particolare, un attacco aereo israeliano su Beit Lahia sabato sera avrebbe provocato quaranta morti, mentre domenica mattina venti persone sarebbero state uccise in un attacco aereo israeliano a Jabalia, il più grande degli otto campi profughi storici della Striscia di Gaza, al centro della campagna militare israeliana da più di tre settimane. A suscitare ulteriore sgomento è stato l’attacco contro una scuola che ospitava famiglie palestinesi sfollate nel campo di Shati, nella città di Gaza, causando la morte di nove persone e ferendone una ventina, molte delle quali in gravi condizioni. Tra le persone uccise a Shati ci sarebbero anche tre giornalisti locali.

Secondo il Segretario generale dell’ONU, «questo conflitto continua a essere condotto con scarso riguardo per i requisiti del diritto umanitario internazionale», in quanto Israele vieta da settimane ormai l’ingresso di cibo e beni di prima necessità nel nord dell’enclave. Una strategia di guerra che caratterizza l’intera operazione militare israeliana sin dall’inizio e che coinvolge tutta l’enclave. Questo atteggiamento sprezzante per i civili, insieme agli ordini di evacuazione per le circa 400.000 persone che secondo l’ONU vivono nel nord e gli attacchi mirati sulle infrastrutture hanno portato alcuni gruppi per i diritti umani ad accusare Israele, oltre che di crimini di guerra, di voler sfollare forzatamente la popolazione palestinese ancora presente. Tel Aviv nega le accuse, ma una parte dei ministri del governo di Benjamin Netanyahu e i coloni israeliani dichiarano esplicitamente di voler tornare a occupare Gaza, incoraggiando l’emigrazione dei palestinesi dall’enclave. Durante una conferenza di due giorni svoltasi la scorsa settimana – intitolata “Prepararsi al reinsediamento di Gaza” e organizzata dai coloni dell’organizzazione Nahala – il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir ha detto che “Se lo vogliamo, possiamo rinnovare gli insediamenti a Gaza”.

Le violenze proseguono anche nella Cisgiordania occupata, dove secondo l’agenzia Wafa, oggi i coloni israeliani hanno attaccato una scuola elementare a Gerico rompendo le finestre delle aule e cercando di distruggere le telecamere di sorveglianza, mentre nella città di Ramin, a est di Tulkarm, i coloni hanno attaccato case e veicoli palestinesi. Anche in Libano si sono registrati domenica 21 morti in un attacco israeliano in tre diverse zone del sud del Paese.

Il raggiungimento di un accordo per il cessate il fuoco appare ancora lontano, anche perché Hamas non sarebbe direttamente coinvolto nelle trattative, almeno in questa fase. Inoltre, le due parti in guerra risultano ancora lontane nelle loro richieste per porre fine ai combattimenti. Il gruppo di resistenza palestinese avrebbe infatti dichiarato di ambire a un accordo globale per la fine immediata della guerra che preveda il ritiro totale delle truppe israeliane dalla Striscia di Gaza.

[di Giorgia Audiello]

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