"Israele ormai ha vinto, possibile il cessate il fuoco. L'Albania non è il Ruanda e la Francia fa come noi"

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Il ministro leader di Fi in missione in Medioriente. "Lavorare subito a un'Unifil 3 con nuove regole"

"Israele ormai ha vinto, possibile il cessate il fuoco. L'Albania non è il Ruanda e la Francia fa come noi"

ll ministro Tajani è molto fermo e ottimista. Oggi sarà in Israele e poi in Palestina e non ha intenzione di fare chiacchiere. Vuole risultati.

Ministro qual è lo scopo della sua missione?

«L'obiettivo è netto: lavorare per la pace e per arrivare al cessate il fuoco sia in Libano che a Gaza. Incontrerò il Presidente Isaac Herzog, il ministro degli Esteri Israel Katz e a Ramallah il primo ministro palestinese Mustafa».

La morte di Yahya Sinwar può essere una spinta alla pace?

«C'è la possibilità che Israele, avendo vinto militarmente, avendo colpito la mente della strage del 7 Ottobre e quindi la mente di Hamas, possa sentirsi appagato e guardare con più disponibilità al cessate il fuoco a Gaza, ottenendo in cambio la libertà per gli ostaggi che sono ancora nelle mani dei terroristi».

Questa è la linea dell'Italia?

«Noi insistiamo per questo con Israele e con il Libano, puntando anche al cessate il fuoco in Libano. Credo che per arrivare ad un accordo sia utile accelerare anche i tempi per l'elezione del nuovo presidente libanese, che deve essere maronita per la costituzione libanese, e che può diventare un interlocutore valido e autorevole per Israele».

La missione Unifil è importante?

«La missione Unifil deve essere rinforzata, dobbiamo lavorare già da adesso a quella che potremmo chiamare Unifil 3. Devono essere cambiate le regole di ingaggio per dare più capacità di intervento, dovremo farlo con l'accordo delle parti. Io credo che la soluzione per garantire la stabilità deve essere creare un cuscinetto Unifil tra il confine israeliano fino al fiume Litani verso nord. Dal fiume, salendo ancora verso nord, l'esercito regolare libanese. Ancora più a nord gli Hezbollah. Si tratta di creare un doppio cuscinetto: Unifil, esercito libanese e poi Hezbollah. Questo anche per dare allo Stato libanese potere sul suo territorio, e in questo rafforzare il ruolo e la capacità delle forze armate libanesi è decisivo».

Dovrebbe essere una evoluzione della attuale Unifil?

«Sì, negoziata e accettata essere da tutti. Dobbiamo lavorare anche per definire con certezza anche una linea di confine terrestre tra Israele e Libano che sia riconosciuta da tutti, così come è stato fatto per il confine marittimo grazie al ruolo della mediazione americana».

Non c'è il rischio che Sinwar possa diventare un simbolo, un martire per una parte del mondo islamico?

«Tenteranno questa operazione ma ritengo che colui che ha organizzato la strage del 7 ottobre non possa essere considerato un simbolo da nessuno».

Che ruolo possono svolgere i Paesi arabi in Medio Oriente?

«I Paesi arabi sono fondamentali perché i palestinesi sono ovviamente parte del mondo arabo. Paesi come l'Arabia Saudita, gli Emirati, il Qatar, l'Egitto, la Giordania possono essere elementi di pacificazione dell'area. Per questo ho detto che per la riunificazione della Palestina penso ad una missione internazionale guidata da Paesi arabi. Del resto, l'attacco del 7 ottobre perché c'è stato? Anche perché Hamas voleva impedire l'accordo fra Israele e l'Arabia Saudita. Questo era l'obiettivo politico».

Veniamo alla politica italiana: la scelta dei giudici di liberare i migranti che erano stati portati in Albania è un problema serio per il governo?

«La democrazia si basa sulla tripartizione dei poteri: legislativo, giudiziario ed esecutivo. Ce l'ha insegnato Montesquieu. Per questo avevo detto a qualcuno della sinistra che farebbe bene a rileggere Montesquieu. Se uno di questi poteri scavalla il proprio confine c'è un problema. È un problema istituzionale, non è un problema di destra o sinistra. La magistratura deve applicare la legge, non può cambiarla. Non può decidere se una legge è giusta oppure no. Sono leggi approvate dal Parlamento».

I giudici hanno deciso che tocca loro far la politica dell'immigrazione, nominare o dimettere governatori di regione, stabilire lavori pubblici: oggi non viene totalmente esautorato il parlamento?

«Premetto che io non sono contro i magistrati. Però è urgente una riforma della giustizia. Vogliamo che ci sia la separazione delle carriere perché il sistema deve trovare un maggiore equilibrio. Cioè un potere eccessivo nelle mani di una parte, in questo caso nella magistratura, sbilancia tutto e rompe questo equilibrio che è garanzia della democrazia. La cosa che aggrava il problema è che c'è stata nella nostra storia repubblicana una politicizzazione eccessiva della magistratura. Quando si permette alla magistratura di avere una corrente legata ad un partito politico, come si può parlare di indipendenza della magistratura?».

Ha detto Nordio: noi dobbiamo rispondere agli elettori, non alla magistratura.

«Giusto. Il potere è del popolo che lo affida agli eletti, è il popolo che decide. Non ci sono degli unti del signore che decidono. Questo è il cuore della democrazia, è lo stato di diritto».

Schlein la accusa di essere per la democrazia assoluta.

«No. Io sono per l'esercizio controllato del potere che il popolo affida ai suoi eletti. Forse nell'album di famiglia del Partito democratico c'erano personaggi che credevano poco alla democrazia e all'europeismo. Nel mio album di famiglia no. Ci sono Einaudi, De Gasperi».

In Francia sembra che sui temi dell'immigrazione ci siano divergenze tra Macron e il primo ministro Barnier.

«Vedo una Francia che sta guardando con sempre maggiore attenzione, attraverso il suo governo, ad una linea di fermezza per contrastare l'immigrazione irregolare. Ieri ho avuto il piacere di incontrare il primo ministro francese Michel Barnier e il suo ministro dell'Interno con il mio collega Matteo Piantedosi.

Abbiamo visto una Francia molto aperta al confronto alla collaborazione con l'Italia, molto attenta alla necessità di affrontare anche i temi delle migrazioni. Il nostro modello è seguito da molti, compresa la Von der Leyen. E attenzione: l'Albania non è il Ruanda, l'Albania è un Paese candidato a entrare nell'Unione Europea che ha scelto di condividere i nostri problemi».

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