Trasformare il sud del Libano in una nuova Cisgiordania. Sembra questo il succo del piano di pace con Hezbollah elaborato dallo Stato ebraico, presentato ieri da Washington agli intermediari libanesi. Il cessate il fuoco prevederebbe una piena demilitarizzazione del sud del Paese, la cui sicurezza finirebbe attivamente nelle mani di Tel Aviv, e fornirebbe alle forze di aviazione israeliane l’assoluta libertà di operare all’interno dello spazio aereo libanese. Un piano che sembra concepito per essere respinto, e che cozzerebbe con la tanto citata risoluzione 1701 dell’ONU, che prevede la costituzione di una “zona cuscinetto” a sud del fiume Litani, da attuarsi con un allontanamento sia delle milizie di Hezbollah sia delle truppe dell’esercito israeliano. Hezbollah, come prevedibile, ha già rifiutato la proposta: «Il nemico non è nella posizione di imporre condizioni». Nel frattempo, continuano gli scontri nel territorio libanese, dove ieri Israele ha colpito le filiali della banca Al-Qard al-Hassan a Beirut, per poi prendere di mira un ospedale.
Il piano elaborato da Israele è stato condiviso nella mattina di ieri dal sito di informazione Axios. Esso sembra essere stato elaborato dallo Stato ebraico, che giovedì avrebbe affidato il compito di presentarlo a Washington al ministro per gli Affari Strategici Ron Dermer, molto vicino al premier Netanyahu. Ieri il testo è arrivato nelle mani del diplomatico statunitense Amos Hochstein, che, partito per il Libano, ne ha esposto i punti fondamentali al Presidente del parlamento libanese, Nabih Berri. L’idea è semplice: il sud del Libano dovrebbe essere completamente smilitarizzato, mentre all’esercito israeliano dovrebbe essere permesso di svolgere «attività di controllo attivo» sul territorio, finalizzate ad assicurarsi che Hezbollah non ricostruisca le proprie infrastrutture militari al confine; oltre a ciò, Israele chiede che venga fornita alla propria aviazione la piena concessione di operare all’interno dello spazio aereo libanese.
Le richieste di Israele riguardanti il sud del Libano sembrano ricordare in tutto e per tutto il modello di gestione dell’area B della Cisgiordania così come pensata negli accordi di Oslo, in cui la sicurezza è nelle mani di Tel Aviv e l’amministrazione sotto controllo locale. Esse, inoltre, violano completamente quella stessa risoluzione 1701 dell’ONU a cui ultimamente tutti i politici stanno facendo riferimento come “unica soluzione possibile” all’abbassamento della tensione. Essa prevede l’istituzione di una fascia di sicurezza priva di “personale armato, assetti e armamenti che non siano quelli del Governo libanese e di UNIFIL” lungo la Blue Line – la linea di confine che separa Israele e Libano – con il conseguente ritiro di Hezbollah dietro il fiume Litani e dell’esercito israeliano dal territorio libanese. L’accordo israeliano, avanzato peraltro in una fase del conflitto in cui la guerra sembra tutt’altro che finita, risulta, quindi, inaccettabile secondo Hezbollah, e in tal senso (come anche contenutisticamente) rassomiglia agli analoghi patti di pace promossi da USA e Tel Aviv ad Hamas nel corso dell’ultimo anno. Hezbollah non ha tardato a rilasciare un comunicato in cui annuncia il suo rifiuto del piano: «Ciò che trapela riguardo alle condizioni “israeliane” suggerisce che “Israele” crede di aver vinto», ha scritto il gruppo; tuttavia «siamo ancora all’inizio della battaglia e il nemico non è in posizione di vittoria». «Non permetteremo che “Israele” si metta nella posizione di imporre condizioni a noi o al nostro Paese». Insomma, quello che Hezbollah sembra stare dicendo è che, Israele, prima di arrogarsi il diritto di imporre qualcosa, dovrebbe riuscire a sconfiggere il proprio nemico.
Effettivamente, gli scambi di attacchi tra Israele ed Hezbollah stanno continuando senza interruzione. Ieri le milizie libanesi hanno scagliato oltre trenta distinti attacchi, colpendo zone di confine, aree vicine a Tel Aviv, siti posti sulle alture del Golan, e, ancora, località nei pressi di Haifa. Stamattina, invece, è arrivato un ulteriore attacco a Tel Aviv, nell’area a sud della città, dove Hezbollah afferma di avere colpito una base militare. Israele, dal canto suo, ha scagliato un attacco sulle filiali di Al-Qard al-Hassan a Beirut, considerato l’istituto finanziario di Hezbollah, per poi colpire le aree attorno all’ospedale Rafic Hariri, uccidendo 4 persone. Israele ha inoltre accusato Hezbollah di nascondere una somma pari a circa mezzo miliardo di dollari sotto forma di oro e contanti in un tunnel posto sotto l’ospedale di Al-Sahel, giustificando così un possibile attacco futuro. Tra la richiesta di pace dalle condizioni inaccettabili e le accuse di utilizzare le infrastrutture civili come scudo, insomma, il sentiero che sta seguendo Israele sembrerebbe lo stesso già percorso nell’ultimo anno a Gaza: giustificare i propri attacchi indiscriminati e attribuire a Hezbollah il mancato raggiungimento di una tregua.
[di Dario Lucisano]