Il presidente Santalucia smonta le politiche del governo sulle sezioni immigrazione. Il Carroccio: "Dall'epoca di Palamara non è cambiato niente"
«Il Parlamento è sovrano», ricorda Matteo Piantedosi. È la reazione del ministro degli Interni alle bordate piovute sul governo dall'ultimo piano del palazzo della Cassazione, dove ieri si riunisce il direttivo centrale dell'Associazione nazionale magistrati. Bordate che non risparmiano quasi nulla nelle scelte del governo su giustizia e sicurezza, e sembrano segnare un punto di non ritorno nei rapporti tra le toghe organizzate e la maggioranza di centrodestra che governa il paese.
A guidare l'attacco è anche stavolta il lider maximo dell'Anm, Giuseppe Santalucia. Che con la consueta dovizia di aggettivi stronca una per una le mosse del governo soprattutto sul tema della lotta all'immigrazione clandestina. Sotto tiro c'è il progetto del governo di spostare la competenza dei ricorsi dai tribunali alle corti d'appello, considerate più ragionevoli. Santalucia definisce «fantasiosa» la convinzione che le sezioni dei tribunali specializzate in immigrazione siano occupate da «magistrati comunisti» (ma evita di ricordare che la presidente nazionale di Magistratura democratica Silvia Albano, tra i critici più severi dei decreti governativi, è in servizio proprio alla sezione immigrazione del tribunale di Roma, e in questa veste ha tradotto in sentenza le proprie convinzioni). E dipinge invece un quadro roseo in cui «la magistratura italiana non è in nessuna sua parte attraversata da faziosità politica e non avversa i programmi di chi oggi è maggioranza politica di governo».
Santalucia è vicino alla fine del mandato, a gennaio le toghe votano per i nuovi vertici dell'Anm, se l'andamento dovesse rispecchiare quanto accaduto per le elezioni del Csm le correnti rosse rischiano di perdere il controllo dell'associazione. Santalucia sa che molti magistrati qualunque sono lontani dal clima barricadiero, e i fallimenti degli ultimi scioperi antigovernativi lo dimostrano. E sceglie di reagire alzando i toni dello scontro, chiama alla mobilitazione, «abbiamo il dovere di non cedere alla stanchezza e allo sconforto», attaccando nuovamente il progetto di riforma costituzionale che prevede la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. Anche se ammette che un referendum sulla separazione si tradurrebbe in un «una sorta di referendum sul gradimento della magistratura e del servizio giustizia», e la faccenda potrebbe finire male per l'Anm, perché «i cittadini risponderebbero ciascuno pensando ai ritardi e alle attese che hanno dovuto patire per avere giustizia».
Ma i magistrati, assicura il presidente dell'Anm, non perderanno la loro serenità e non cambieranno linea, anche se «accomodandoci alla scrivania, sapremo che il provvedimento che ci toccherà assumere ci consegnerà al pericolo di essere additati come magistrati comunisti e nemici del popolo» e «di veder violata la nostra sfera di riservatezza con la pubblicazione di fotografie attinenti a momenti di vita privata».
Dai colleghi del direttivo arrivano a Santalucia applausi a scena aperta, la riunione si conclude con l'annuncio di una assemblea nazionale il 12 gennaio contro le riforme del governo. Di tentativi di dialogo insomma, neanche l'ombra. Tanto che sembra destinato a cadere nel vuoto l'appello che il ministro Carlo Nordio manda subito dopo nel tentativo di svelenire i toni: «Nessuno nega che i magistrati debbano intervenire per criticare le leggi.
Io stesso l'ho fatto da magistrato, perché sono i magistrati ad applicare le leggi e quindi in prima battuta hanno tutto il diritto di esprimersi ma solo dal punto di vista tecnico, non possono farlo dal punto di vista del merito politico, perché altrimenti entrano in quel vortice di dialettica, chiamiamola patologica, per la quale, siccome il magistrato si sente in diritto di criticare una legge in fieri, poi il politico si sente nel diritto di criticare la sentenza. E questo non va bene». Ma è chiaro che per l'Anm ridurre il diritto di parola dei magistrati all'aspetto «tecnico» delle leggi equivale a imbavagliarli.