Una parola di verità nel rumore mediatico italiano che tutto distrugge più o meno consapevolmente lasciando il conto alle generazioni future. Una parola di verità che viene dallo scranno istituzionale più alto di questo Paese nel giorno in cui non mancherà chi si eserciterà nell'alimentare un'illusione ottica pessimistica sull'economia italiana. Un esercizio da evitare in modo assoluto perché non dice il vero, confonde il valore di un solo dato congiunturale con sostanze comparative strutturali ben diverse. Si mescola la solita propaganda, che incide negativamente sulla fiducia, con i problemi reali che esistono e possono essere affrontati. Si annullano disinvoltamente i primati oggettivi italiani e si prova a ridurre quella fiducia che invece è indispensabile per affrontare i problemi veri esterni e interni.
Questa parola di verità viene dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella, e precisamente dal suo intervento alla cerimonia di consegna delle insegne «Al merito del lavoro» e della nomina dei cavalieri del lavoro al Palazzo del Quirinale. La sequenza di notizie, in un discorso alto intriso di realismo orgoglioso diretto ai giovani e alle imprese, è davvero impressionante.
Punto primo. Negli ultimi cinque anni il Pil nazionale è aumentato percentualmente più di quelli francese e tedesco. Punto secondo. L'occupazione cresce, e così i contratti di lavoro a tempo indeterminato. Punto terzo. Le esportazioni italiane continuano a registrare dati positivi, a sostegno del prodotto nazionale. Punto quarto. I dati di Bankitalia certificano un balzo del nostro Paese: la posizione netta sull'estero, a giugno di quest'anno, era creditoria per circa 225 miliardi di euro. Una dimensione enorme: il 10,5% del Pil. Su questo punto c'è anche un giudizio che condividiamo in toto: «Irragionevole che non venga notato dalle agenzie di rating nel valutare prospettive e affidabilità dell'economia italiana. Questa la nostra posizione patrimoniale. Un “segno di forza” l'ha definita il governatore della Banca d'Italia nella sua ultima relazione».
Questi sono i fatti, separati dalle opinioni, che sono merito delle imprese e di chi ci lavora, di un contesto favorevole di stabilità operosa che è nella concretezza più riformista di quello che si vuole fare apparire. Questi sono i fatti che i lettori di questo giornale ben conoscono visto che li abbiamo rappresentati uno a uno sottolineando tutte le volte che è stato necessario come le agenzie di rating applichino due pesi e due misure tra Italia e Francia caricando sugli interessi del nostro debito pubblico un extra-costi del tutto ingiustificato. Questi sono fatti che ovviamente non eliminano per la nostra economia insidie che sono di natura geopolitica e interna, in alcuni casi anche di natura rilevante.
Ora accade che, nella giornata di ieri, l'Istat comunichi che nel terzo trimestre la crescita del Pil italiano è congiunturalmente rimasta invariata con una dimensione acquisita destagionalizzata dello 0,4%. Sempre nel terzo trimestre l'economia tedesca cresce dello 0,2%, la Francia dello 0,4% e la Spagna dello 0,8%. Tutti si affrettano a parlare di sorpresa tedesca ignorando che nel secondo trimestre era stata stimata una caduta dello 0,1 che invece è stata oggi rivista in peggio e, cioè, corretta a meno 0,3 e, quindi, resta anche congiunturalmente più indietro di noi, che il dato francese come comunica il suo istituto statistico è tutto legato a Olimpiadi e Paralimpiadi con il loro effetto lungo e che il dato spagnolo riflette la supercrescita turistica, che è come quella italiana, ma che ovviamente pesa molto di più percentualmente della nostra sul loro Pil essendo l'economia spagnola più piccola di quella italiana e meno dipendente dall'industria e dalle esportazioni.
Ovviamente saranno in pochi a ricordare, ci ha pensato per fortuna il Capo dello Stato, che è ancora l'Italia a essere cresciuta di più dal post covid a oggi rispetto a Francia e Germania e, aggiungiamo noi, che solo se continua così forse a fine anno la Spagna eguaglierà la nostra crescita di Pil dalla pandemia a oggi. Ovviamente molti si dimenticheranno di dire che sul nostro dato congiunturale pesa la rivalutazione di 97 miliardi del Pil dell'anno precedente, cosa che alza il nostro livello di ricchezza, che il dato grezzo di questo primo semestre per l'Italia viaggia già tra lo 0,5 e lo 0,6% e che l'effetto calendario in termini assoluti ci aiuta ancora nell'ultimo trimestre dell'anno. Così come va ricordato che si tratta sempre di stime preliminari che negli ultimi cinque anni per l'Italia sono state a consuntivo sempre corrette al rialzo. Anche perché a fine annoi il Pil si misura in dati grezzi, non destagionalizzati e corretti per i giorni di calendario.
Chiariamoci bene, ci sono problemi internazionali con cui fare i conti. La stampa estera ha parlato di caduta degli dei riferita all'industria automobilistica tedesca ed è un dato di fatto che il green deal europeo ha avuto effetti terribili. È ovvio che la manifattura italiana soprattutto delle aree produttive più legate alla Germania non può non risentirne, ma è per fortuna un altrettanto dato di fatto che il Sud tiene bene botta, il turismo e i servizi vanno alla grande, e la stessa impresa manifatturiera italiana, del Nord come del Sud, ha mostrato flessibilità e dinamismo sui mercati internazionali superiori alle consorelle francese e tedesca.
Sarebbe bello che in Europa si facessero cadere i veti ideologici e si levasse il freno dalla crescita delle nostre imprese. Sarebbe bello che in Italia tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione, si concentrassero perché i risultati ottenuti con il piano nazionale di ripresa e di resilienza, che ci pone al primo posto in Europa, si traducessero in una ulteriore potente accelerazione sull'apertura dei cantieri concentrando qui tutte le energie rimuovendo i vincoli burocratici e la forza frenante delle propagande politiche e ideologiche.
Dopo un quarto di secolo da fanalino di coda dell'Europa, siamo diventati negli ultimi cinque anni la prima carrozza del treno europeo, è comprensibile che siamo a disagio perché non ci siamo abituati, ma sarebbe un delitto assoluto fare prevalere gli istinti peggiori che ci condannavano ai vagoni di coda. Soprattutto, sarebbe un delitto bruciare il capitale di fiducia che alimenta la crescita del secondo motore italiano finalmente ritrovato che è quello del suo Mezzogiorno.