L'intervista all'autore

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Intervista all'autore di "Il più bel trucco del diavolo" (Rizzoli, pagg. 332, euro 18, 50): "C’è un’ombra che aleggia su questo caso"

 "Vi racconto chi sono Andrea Volpe e le bestie di Satana"

Gianluca Herold è traduttore e collaboratore di svariate case editrici e riviste come “Rivista Studio”, “Linkiesta” e “Undici”. In Il più bel trucco del diavolo (Rizzoli, pagg. 332, euro 18, 50) si è occupato dei delitti commessi tra gli anni Novanta e Duemila dal gruppo di ragazzi conosciuti come le “Bestie di Satana“. Abbiamo parlato con lui della genesi del romanzo, incentrato su uno dei membri del gruppo: Andrea Volpe.

Come ti sei avvicinato a questa vicenda?

“Nel 2021 ero iscritto a un master di scrittura creativa. Ho letto un articolo del Giorno che raccontava la vicenda e spiegava come Andrea Volpe fosse uscito dal carcere e si fosse convertito alla Chiesa evangelica. Mi è sembrata una storia che andasse raccontata. L’ho approcciata con alcuni compagni di corso pensandola in chiave di documentario. Poi dopo che avevo già iniziato a parlare con Andrea Volpe ha assunto un’altra forma, quella narrativa del romanzo”.

Cosa l’ha colpito in particolare della vicenda narrata da Volpe?

“Parlando con Volpe mi ha colpito molto la sua giovinezza, i traumi subiti, in famiglia e fuori. Dai profili processuali degli altri coimputati si intravedeva qualcosa di simile, nel suo caso l’ho scoperto parlando con lui. Ovviamente questo non giustifica affatto le violenze che hanno compiuto… Ma il male non arriva dal nulla e in questa vicenda si capisce bene. Mi ha anche fatto riflettere una cosa che Volpe mi ha raccontato: in carcere riceveva moltissime lettere da persone che gli raccontavano gli stessi traumi che aveva subito lui. Ne ha parlato anche con la psichiatra che lo segue oggi. Evidentemente c’è un linguaggio non verbale che in qualche modo connette chi ha subito certe cose… Mi sono fatto l’idea che i membri delle Bestie di Satana si siano avvicinati tra di loro “calamitandosi”, e poi siano precipitati in un gorgo dove i più forti hanno fatto fuori i più deboli…”.

Che idea si è fatto sul numero delle vittime… Secondo molti non è chiaro quante persone siano state uccise o indotte al suicidio.

“Questa tesi è stata molto cavalcata dai media. C’è un’ombra che aleggia sul caso. Certezze non ce ne sono, ma personalmente penso che le vittime siano le quattro per cui ci sono state le condanne. Lo dico avendo visto le carte processuali. La mia impressione è che tutto sia successo per dinamiche interne al gruppo. E comunque i legami tra le altre quattordici presunte vittime e la setta non sono stati accertati”.

Lei per costruire questa storia ha dovuto confrontare costantemente la documentazione col racconto di Volpe. Sono risultati da subito congruenti?

“Sono partito dai parenti delle vittime. Mi sembrava la cosa più giusta da fare, moralmente parlando. Poi sono passato alle fonti, tribunale, procura, media, e ho intervistato altre persone coinvolte nella vicenda. Con Volpe ho impostato il lavoro in maniera ricorsiva. Ho lavorato su tre blocchi: l’infanzia, il carcere, la setta. Volevo che le domande più complesse, quelle sulla setta, arrivassero dopo aver già stabilito un rapporto di fiducia. Dopo il primo giro d’interviste ero sul punto di mollare. La parte sulla setta non mi convinceva per nulla. Tendeva a raccontarmi le vicende in modo da sovrastimare la sua statura criminale. Si descriveva come un criminale calcolatore e consapevole. Ma le carte raccontavano un satanismo d’accatto, una gestione raffazzonata di alcune situazioni… Poi a un certo punto la ricorsività interviste/fonti ha pagato: ha rinunciato, parlando anche con la sua psichiatra, al suo ‘io grandioso’. Un giorno mi ha chiamato e ha ammesso la realtà: ‘eravamo degli scavazzati, degli scoppiati’. E lì ho capito che era possibile fare una narrazione corretta, che era possibile andare avanti”.

Un forte narcisismo…

“È stato un bambino non visto, ignorato. Nelle Bestie ha trovato l’attenzione che non aveva avuto. E poi l’ha trovata nei media. Dopo la presa di coscienza che la realtà era diversa è stato più facile. Detto questo resta molto difficile stabilire dei nessi causa-effetto nelle dinamiche di quel gruppo e dello stesso Volpe. Ma in tutti i membri c’era un portato biografico complesso e infelice: ognuno ha portato il proprio, come tanti sassolini che sommati hanno portato a una frana. È Volpe stesso a dire di aver contribuito molto alla spinta verso la violenza. E in effetti gli incidenti probatori dimostrano che dopo un mese dal suo ingresso nella setta c’è il primo tentato omicidio. Volpe era più grande, e veniva anche da un contesto più duro”.

Dal punto di vista della scrittura come ti sei regolato?

“Ho scelto la terza persona, con fatica, per la necessità di mantenere la distanza, la giusta oggettività su un argomento del genere, così che

ognuno potesse farsi la propria opinione. Sono tornato alla prima solo nella parte finale per raccontare le cose che ho visto di persona nella vita di Volpe. Un’alchimia complessa, ma necessaria, che è nata in corso d’opera”.

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