La bomba inesplosa Cpr. Così disperati e jihadisti preparano rivolte e caos

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Ieri cinque agenti sono rimasti feriti nel Trapanese: "È caccia alle divise"

La bomba inesplosa Cpr. Così disperati e jihadisti preparano rivolte e caos

«Ormai aggredite i poliziotti è diventato uno sport nazionale». L'allarme del segretario generale aggiunto del Sap Giuseppe Coco accende i riflettori su un nuovo, possibile, focolaio di proteste. L'invito all'autunno caldo maldestramente evocato da Maurizio Landini della Cgil trova orecchie sensibili tra gli immigrati reclusi nei Centri di permanenza temporanea che i decreti «Cutro» e «Paesi sicuri» avevano intenzione di svuotare, proprio per il rischio di una pericolosissima saldatura tra il disagio dei richiedenti asilo e le mire eversive di chi spera nella spallata della piazza per disarcionare il governo di Giorgia Meloni. «Le piazze sono inquinate dai professionisti del disordine che intervengono solo per dare sfogo alla loro bieca violenza. C'è una sola, chiara e manifesta regia in tutti questi cortei: il fanatismo ideologico che prescinde dalle ragioni concrete per le quali si protesta», dice al Giornale il segretario generale Siulp Felice Romano, che parla di «precisa caccia alla divisa».

L'episodio più allarmante è successo ieri: cinque agenti del reparto Mobile di Palermo sono rimasti feriti presso il Cpr di Milo, nel Trapanese, nel tentativo di sedare una rivolta. Contro le auto i migranti hanno lanciato di tutto: pietre, spranghe e bottiglie, escrementi e urina. L'urgenza umanitaria è sempre di più una questione di sicurezza nazionale. Dietro sigle come Cara, Cas, Sai, Sprar, Cie, Cpr si nascondono inferni in cui, in condizioni igienico-sanitarie disumane, vivono i migranti reclusi. Ci sono disperati che preferiscono il suicidio o l'autolesionismo a una vita da recluso. Come è successo a Bari a Bangaly Soumaoro, il 33enne guineano che aveva ingerito delle pile ed è morto all'ospedale barese di San Paolo. Sotto inchiesta per omicidio colposo sono finiti i nove medici del centro pugliese.

I centri più a rischio rivolte sono il Cpr di via Corelli a Milano, il Cas di Bagnoli a Padova, quello di Bologna e di Roma a Ponte Galeria, e ancora a Macomer (Nuoro), Brindisi, Caltanissetta e Milo appunto, già al centro di inchieste che hanno scoperchiato gli interessi di coop «pigliatutto» e imprenditori spregiudicati. Ne servono altri, nessuno li vuole (vedi Trento e Bolzano) tanto che per garantire i posti letto e di strutture adeguate alcuni sindaci sono costretti ad requisire gli hotel come a Bologna, tanto paga Pantalone.

Sono luoghi in cui entra (ed esce) di tutto, per nulla impermeabili alle infiltrazioni della criminalità organizzata anche per i flussi di denaro che fanno gola a chi ha in mente loschi affari. Come a Crotone, vedi gli appetiti della cosca Grande Aracri sul centro di accoglienza poi affidato alla Croce rossa italiana. Tra i richiedenti asilo in questo Paese spesso si sono annidati terroristi, jihadisti, estremisti, rivoluzionari e guerriglieri e Dio solo sa cos'altro, da anni si parla di «rischio radicalizzazione islamica attraverso un'insidiosa opera di indottrinamento e reclutamento» nei Cpr come nelle carceri (dove i detenuti musulmani sono oltre 10mila). Bastano pochi teorici della lotta armata e della guerra civile con una innata propensione al reclutamento, qualche agit-prop vestito da predicatori religiosi a convincere profughi e disperati a ribellarsi a una situazione oggettivamente inaccettabile e il gioco è fatto.

«La privazione della libertà delle persone migranti nei Centri di permanenza per i rimpatri rimane un nodo problematico, che interpella diversi livelli ed eterogenee responsabilità: carenze legislative, vuoti di regolazione, criticità strutturali, opacità sistemiche e inadeguatezze gestionali», è l'allarme lanciato nei mesi scorsi dall'ufficio del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale.

Anche per questo l'Italia aveva puntato sull'accordo con l'Albania, provando a portare i detenuti maschi, maggiorenni e in buona salute che non avevano diritto d'asilo lontano dai confini nazionali. Ma l'esecutivo non aveva fatto i conti con la giurisprudenza creativa e le toghe ideologizzate.

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