«In questi anni di cure dipingere mi ha dato energia. È stato un modo per continuare a lavorare», dice Luca Carboni, spalancando le porte del Museo Internazionale e biblioteca della musica di Bologna, che da oggi al 9 febbraio ospiterà Rio Ari O. Luca Carboni, 40 anni tra musica e arte, la mostra - curata dal critico d'arte Luca Beatrice, prodotta da Elastica - con la quale il 62enne cantautore bolognese espone per la prima volta le sue opere. A settembre Carboni ha rotto un silenzio lungo due anni, annullando l'uscita di un disco praticamente pronto: al Corriere della Sera ha raccontato la sua lotta contro un tumore al polmone «molto grande», asportato dopo una massiccia cura di chemioterapia. Oggi dice di «essere tecnicamente guarito anche se, con questo tipo di malattia, questa parola ha un significato fragile» e celebra i suoi quarant'anni di carriera - era il 1984 quando, scoperto da Lucio Dalla, debuttò con l'album intanto Dustin Hoffman non sbaglia un film - mostrando quadri, disegni, progetti: «Apro un diario tenuto segreto fino ad oggi per poter vivere questa passione liberamente, senza ansie da prestazione, critiche e giudizi».
Quando ha iniziato a dipingere?
«Proprio nell''84. Bisognava realizzare il videoclip di Ci stiamo sbagliando. A proposito: il "Rio ari o" del titolo della mostra è il coro iniziale di quella canzone, improvvisato con Lucio. Sembrava che Pupi Avati potesse girare il video, così d'istinto disegnai delle tavole per fargli capire che idea avevo in mente. Poi non se ne fece nulla. Ma da allora non ho più smesso: ora mi sono deciso a spalancare a tutti le porte del mio mondo».
Perché ripartire da una mostra e non dalla musica?
«Il disco al quale stavo lavorando prima della diagnosi va rivisto. Ho avuto idee nuove. Ma ci vorrà del tempo. Il quarantennale di carriera volevo celebrarlo, però. E i dipinti, a differenza delle canzoni, c'erano già: bisognava solo raccoglierli. L'album arriverà più in là. Intanto Sony ha deciso di ristampare in vinile i miei dischi usciti solo in cd: Mondo, Carovana, Lu*Ca e Le band si sciolgono».
Ha scritto canzoni ispirate alla malattia?
«No. Ora sarebbe forzato. Ma vediamo nei prossimi mesi. Sarà un disco molto personale. Ho recuperato pure provini degli Anni '80: sarà un ritorno alle origini. E quando tornerò sul palco, la prima canzone che farò sarà Primavera. L'affetto ricevuto dai colleghi in questi due anni mi ha dato energia e mi ha incoraggiato. Oggi che si tende a condividere tutto, loro hanno rispettato il mio silenzio e gli sono grato».
La tela più recente, datata 2024, ritrae il santuario di San Luca. Ormai è noto: è anche il titolo della canzone che ha inciso con Cesare Cremonini, che sarà nel suo nuovo disco in uscita il 29 novembre. Cosa rappresenta per lei San Luca?
«Tutto. Basti pensare che il mio nome è frutto della devozione dei miei genitori per quel santuario. Lo vedevo arrivando in autostrada di notte, tornando dai tour. Un'immagine potente, che mi commuove ed emoziona. In generale, la pittura testimonia anche il mio rapporto stretto con la fede: la vivo, la ricerco e la racconto con le opere».
Il suo santo protettore laico chi è, invece?
«Lucio. Certi dipinti, quelli più metafisici, nascono dalle nostre passeggiate notturne nella Bologna di quarant'anni fa, quando dopo aver lavorato in studio si arrivava all'osteria Da Vito».
Il santo patrono della canzone italiana invece è Sanremo. Le piacerebbe raccontare al Festival la sua rinascita?
«No. La mia storia doveva iniziare lì, nel 1984. Poi la casa discografica iscrisse Eros Ramazzotti al posto mio, con Terra promessa. Ho capito che il mio karma è quello di non andarci mai. Nemmeno come ospite. Sono uno dei pochi artisti italiani che al Festival non ci ha mai messo piede».