Sono bastate poche decine di minuti a cancellare 39 anni di memoria. È il tempo che passa tra il momento in cui Luciano D'Adamo è stato investito da un’automobile, perdendo conoscenza, fino al momento in cui ha riaperto gli occhi e si è trovato a bordo di un'ambulanza. In quel breve periodo di buio c'è il mistero della sua storia. A raccontarcelo oggi, cinque anni e mezzo dopo l'incidente, è la dottoressa che conosce meglio di chiunque altro lo sconvolgente caso clinico di cui tanto si è parlato nei giorni scorsi, dopo che il Messaggero ha presentato la sua vicenda. Chiara Incoccia, neuropsicologa del Santa Lucia (l'ospedale romano specializzato in neuroriabilitazione), ha seguito Luciano per anni nei suoi tentativi di recuperare i ricordi perduti. I risultati alla fine sono stati minimi. Perché la scienza e la medicina si pongono tante domande, ma sanno dare pochissime risposte di fronte alla tragedia di questo romano che a 63 anni si è risvegliato da un incidente convinto di averne 24, che non riconosce più la moglie né i figli, e che non ricorda niente di ciò che ha visto nella sua vita di uomo e di padre».
Dottoressa Incoccia, le è mai capitata una storia come questa?
«I casi di pazienti che subiscono danni cerebrali con disturbi della memoria autobiografica sono poco frequenti. Ma questo è eclatante, probabilmente unico».
In che consiste la sua eccezionalità?
«Le anomalie sono tante. Innanzitutto, la grande quantità di tempo che Luciano non riesce a ricordare. Quando c'è un danno cerebrale, a volte si perdono gli ultimi anni di vita che precedono il trauma, a volte periodi più brevi. A volte periodi sparsi. Ma che io sappia, non esistono altri casi in cui si sono persi 39 anni di memoria. Un'altra anomalia poi è l'esistenza di un limite preciso. In genere succede che un paziente abbia una certa memoria sfumata degli anni più lontani e poi, a mano a mano che ci si avvicina al presente, ricordi sempre meno. Invece Luciano ha zero ricordi dal 20 marzo del 1980 al giorno dell’incidente, nel 2019».
Vuol dire che il trauma è stato molto grave?
«No, ed è un’altra anomalia: gli esami strumentali non mostrano danni cerebrali tali da spiegare un deficit di memoria così massiccio».
Luciano è stato in coma? Per quanto tempo?
«Da quello che abbiamo ricostruito, ha perso conoscenza per un tempo brevissimo, meno di un'ora: da quando è caduto per l'incidente, a quando lo hanno messo in ambulanza. Evidentemente il trauma cranico è stato lieve».
Questo può spiegare anche la perfetta forma fisica e cognitiva recuperata oggi?
«È vero, la sua capacità di apprendere nuove informazioni dopo l'incidente è rimasta intatta. Ed è anche questa un’anomalia».
Se non ha subito danni cerebrali di rilievo, da cosa dipende la perdita di memoria?
«Non lo sappiamo. È vero che un’amnesia può essere la conseguenza di un grosso trauma psicologico: persone che vivono un evento traumatico possono dimenticarlo. Ma di solito si perde la memoria dell'evento e degli istanti che lo precedono. Oppure ci sono casi rarissimi di “amnesia di fuga” in cui c'è una perdita totale della memoria. Il più famoso è lo smemorato di Collegno. Ma non è quello che è accaduto a Luciano, lui ha sempre saputo benissimo chi era».
Ma allora che cos'ha Luciano?
«Come dicevo, noi non siamo in grado di trovare una corrispondenza tra il comportamento di Luciano e un danno cerebrale, e questo non riusciamo a spiegarlo. Ma il problema è nostro. Una cosa è certa: lui non si è inventato la sua amnesia».
Ecco, qualcuno nei giorni scorsi ha insinuato che la storia di Luciano non sia reale. Voi lo escludete?
«A parte il fatto che non avrebbe avuto alcun vantaggio dal fingere un'amnesia, quello che sicuramente ci fa escludere una simulazione è l'enorme sofferenza dimostrata da lui e la sua famiglia. Una sofferenza che possono testimoniare tutti i sanitari che lo hanno seguito al Santa Lucia in questi cinque anni».
Quali terapie avete tentato? Quali tentativi si sono fatti per far riemergere i ricordi dalla sua mente?
«Una terapista lo ha seguito per mesi, la logopedista Cristiana Lucarelli: insieme hanno fatto un lavoro certosino con le foto, con i racconti dei parenti e degli amici. Un’opera di ricostruzione».
E non è servito a niente?
«Ha ritrovato qualche immagine, degli sprazzi. Ma non è riuscito a far riemergere veri ricordi, neanche dopo che gli venivano raccontati. E se lui non riesce a ricordarli, sentirseli raccontare non basta a ricreare un passato: i ricordi autobiografici non sono come le nozioni di storia, non si possono reimparare. Nei ricordi le informazioni sono un tutt'uno con le emozioni che hanno accompagnato gli eventi».
Luciano però ricorda perfettamente quello che ha fatto fino al 1980. Come è possibile?
«Possiamo pensare che, essendosi cancellati 39 anni, di fronte a questo improvviso vuoto il suo cervello sia andato a cercare i ricordi persi, ed andando all’indietro abbia ritirato fuori quelli che c'erano. Uno sforzo di recupero che si è concentrato su pochi anni».
Il risultato è quello che ora tutti sanno: Luciano era convinto di essere nel 1980 e non riconosceva moglie e figli.
«Deve essere una cosa terribile. Tutto ciò che lo legava alle persone che gli sono vicine non c'era più. Non a caso oggi il rapporto migliore riesce ad averlo con i suoi nipotini. Un rapporto nuovo, cominciato dopo l'incidente».
Non ci sono altri tentativi da fare? La medicina non offre altre possibili terapie?
«Esistono tecniche nuove, di stimolazione magnetica o a corrente continua. Se ne parla molto, ma risultati eclatanti finora non ci sono stati, gli effetti sono piccolissimi e transitori».
Terminata l'intervista, la dottoressa Incoccia ci prega di salutare e abbracciare Luciano da parte sua e delle colleghe che lo hanno seguito al Santa Lucia. «È da un po’ che non lo sentiamo, e per tutti noi è stato un paziente molto speciale». Al telefono, dalla voce della neuropsicologa capiamo che anche lei si è commossa. È proprio vero, Luciano è un paziente molto speciale.
Nella foto: Luciano D’Adamo e, nel riquadro, la neuropsicologa Chiara Incoccia