Il tycoon intende rinnovare la strategia della massima pressione nei confronti dell'Iran al fine di bloccare il suo programma nucleare e il supporto ai suoi alleati in Medio Oriente
Non perde tempo Donald Trump. A poche ore dal risultato delle urne e noncurante che alla Casa Bianca ci sia ancora Joe Biden, lo staff del presidente neoeletto fa già trapelare le prime importanti mosse che la nuova amministrazione varerà in politica estera a partire dal suo insediamento il 20 gennaio del 2025.
Il repubblicano intende imprimere una svolta al modo in cui Washington ha gestito sin qui i principali dossier internazionali, Ucraina e Medio Oriente in primis. Dopo aver rivelato le prime bozze del piano del 47esimo presidente per l’Ucraina, è ancora una volta il Wall Street Journal a pubblicare indiscrezioni sui progetti di Trump per il fronte mediorientale dove dalla guerra tra Israele e i movimenti finanziati dall’Iran, nemico giurato dello Stato ebraico, si è passati ad un conflitto quasi diretto tra Tel Aviv e Teheran che rischia di travolgere l'intera regione.
Secondo quanto rivelato dal quotidiano finanziario, il miliardario rinnoverà con grande rapidità la politica di “massima pressione” contro il regime iraniano attraverso l’inasprimento delle sanzioni. Obiettivo: strangolare il traffico petrolifero della Repubblica Islamica prendendo di mira anche i porti stranieri e gli individui coinvolti nel traffico di greggio di Teheran. "Credo che vedrete tornare le sanzioni, vedrete molto di più, sia in termini di diplomazia che a livello finanziario, al fine di isolare l'Iran", spiega un ex funzionario della Casa Bianca aggiungendo come il Paese sciita “si trovi sicuramente in una posizione di debolezza in questo momento e ci sia dunque adesso un'opportunità per sfruttare tale debolezza".
La strategia aggressiva di Trump intende interrompere lo sviluppo del programma nucleare portato avanti dal regime degli ayatollah e il sostegno da esso fornito ai suoi proxy in Medio Oriente. Tra questi Hamas nella Striscia di Gaza, Hezbollah in Libano e gli Houthi in Yemen. A partire dal 7 ottobre del 2023 diversi di questi movimenti filoiraniani hanno lanciato attacchi non solo contro Israele ma anche contro le truppe americane stanziate nella regione.
Se da un lato con la vittoria del repubblicano ci si attendeva un ritorno alla linea d’azione già seguita durante il suo primo mandato – fu Trump a ritirare gli Stati Uniti dagli accordi sul nucleare di Teheran siglati da Barack Obama e ad autorizzare il raid che all’aeroporto di Baghdad eliminò il generale dei pasdaran Qassem Soleimani – dall’altro lato c'è chi fa notare che si assisterà ad un salto di qualità nella conduzione di tale strategia. Infatti, fonti vicine a The Donald ricordano che non si potrà ignorare il fatto che l’Iran avrebbe cercato di assassinare Trump e altri suoi consiglieri per la Sicurezza nazionale come ritorsione per l’uccisione di Soleimani.
Intanto il regime degli ayatollah che aveva promesso di rispondere all’attacco israeliano del 26 ottobre potrebbe aver cambiato idea dopo l’elezione del 47esimo presidente degli Stati Uniti, alleato storico di Tel Aviv. Il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran ha affermato all’agenzia di stampa statale Irna che la vittoria di Trump è un’opportunità per l’America di riconsiderare le “politiche sbagliate” del passato.
A spegnere le speranze iraniane potrebbe però arrivare presto la nomina a Washington di Brian Hook, artefice proprio della politica di massima pressione già adottata dal governo statunitense nei confronti dell’Iran tra il 2017 e il 2021, ad un ruolo chiave nel settore della sicurezza nazionale degli States.