«Non si sa quante persone, quanti cadaveri, possano esserci. Tutto il parcheggio è allagato e non sono ancora andati a rimuovere l’acqua» racconta il dipendente di uno store all’interno del centro commerciale Bonaire ad Aldaia. Lì nel tardo pomeriggio di martedì molti clienti rimasero intrappolati, mentre la Dana causava l’allagamento di tutta la zona. Circa trecento si misero al sicuro nella parte più alta del centro commerciale. Molti altri erano invece corsi nel parcheggio sotterraneo a recuperare le automobili. «Lasciate perdere - disse un addetto alla sicurezza - venite di sopra, non pensate alle macchine, è troppo pericoloso». Non tutti però seguirono quell’invito. E da allora l’acqua è ancora all’interno del parcheggio, con le carcasse delle macchine e con chissà quanti cadaveri, quasi fosse la stiva di una nave affondata. Ecco, ieri sono arrivate le prime risposte e sono drammatiche. Dicono i sommozzatori dell’Ume, l’unità di emergenza, che si sono immersi all’interno del parcheggio: «Lì dentro c’è un cimitero». Quel parking ha 5.700 posti. Ma lo stesso timore c’è per altri parcheggi sotterranei, in alcuni dei 59 municipi coinvolti dall’inondazione più grave della storia della Spagna.
Timori
Non solo: dalle varie cittadine arrivano testimonianze preoccupanti, perché c’è la convinzione che vi siano ancora molti cadaveri da trovare. Racconta al Messaggero María Isabel Albalat Asensi, sindaca di Paiportrta, la località con più morti (211 è il dato totale, 70 sono solo in quella cittadina): «Purtroppo siamo convinti che vi siano ancora cadaveri da recuperare nelle case, nei garage e nelle automobili. Non siamo in grado di dire quanti, ma temo che quel numero - settanta - non sia definitivo. Siamo stati a lungo senza elettricità, gas e acqua. Ora in alcune zone sono state assicurate le forniture, ma il lavoro da fare è ancora molto lungo».
Parking Bonaire (5.700 posti), sommerso ad Aldaya. Sub nel centro commerciale. «È un cimitero»
Angoscia
Carmen, 33 anni, è una delle abitanti di Paiporta, e la sua testimonianza consegnata al Messaggero conferma lo scenario descritto dalla sindaca: «Nella mia casa la corrente elettrica è tornata, ma siamo ancora senza acqua. Per andare a recuperarne un po’ dobbiamo percorrere mezzo chilometro a piedi. Finalmente stanno arrivando gli aiuti e questo è importante. Purtroppo, però, non ho dubbi: quando saranno rimosse tutte le macchine distrutte dalla Dana, quando si entrerà all’interno di tutte le case, saranno trovati molti altri cadaveri». Queste testimonianze sul «cimitero» nel parcheggio del centro commerciale e sulla possibilità che vi siano ancora cadaveri a Paiporta, ma anche a Sedavì, a Chiva, perfino nella colonna di auto bloccate dall’alluvione lungo la superstrada, consolidano la drammatica rivelazione del quotidiano El Diario, venuto in possesso di un documento della Cecopi (Centro Coordinamento Emergenze) secondo cui si contavano ancora 1.900 dispersi stando alle segnalazioni arrivate al numero 112. Quella cifra non rappresenta il numero delle vittime, perché comunque mano a mano la lista viene depennata, ma fa pensare con ragionevolezza che vi siano quanto meno centinaia di dispersi. Per non parlare di una possibile quota di immigrati clandestini che nessuno sta cercando. Tra l’altro ancora sono insufficienti gru e pompe.
Ora l’esercito - a quattro giorni dalla catastrofe - è arrivato in forze, non c’era mai stata una mobilitazione di militari con questi numeri in tempo di pace. Il primo ministro Pedro Sánchez ha inviato 5mila unità (e altrettanti poliziotti), che hanno isolato l’area e creato un filtro agli accessi nelle zone alluvionate. Il ritardo degli aiuti e degli interventi di soccorso che si è aggiunto alla pessima gestione della folle giornata di martedì quando l’allarme è stato inviato solo alle 8 di sera, sta mettendo in difficoltà il presidente della Generalitat, Carlos Mazón. La popolazione è infuriata, sui social ci sono anche accuse irrazionali («vogliono nascondere i morti» ma ovviamente non è così), e per questo sia Mazón sia il governo centrale a Madrid nelle ultime ore hanno rilanciato cifre sempre più alte di rinforzi che sono stati mobilitati per gli interventi nei 59 municipi della regione di Valencia. Paradossalmente però questo sforzo straordinario non fa che rendere ancora più contundente una domanda: perché non è stato fatto prima? Perché si è aspettato il fine settimana? Nel suo intervento Mazón ha dato questa giustificazione: «Prima dovevamo ripristinare le via d’accesso». Questa motivazione è zoppicante, visto che nelle cittadine ricoperte dal fango sono arrivati i giornalisti, sono arrivati i volontari, non si capisce perché invece chi si occupa di interventi negli scenari di emergenza non potesse fare lo stesso. Oggi il re Felipe e la regina Letizia, insieme a Sánchez, saranno a Valencia. Dopo lo scontro evidente tra Comunidad Autónoma de Valencia e governo a Madrid, finalmente ora si è capito che è necessaria la collaborazione.
Tregua
Pedro Sánchez ha pronunciato parole che in Spagna hanno un valore speciale: «Non si tratta del fatto che il governo debba prendere il posto della Comunidad Autónoma, ciò che è importante è che si lavori tutti uniti. Siamo pronti a dare tutto ciò che Valencia chiederà». E Mazón ha di fatto ufficializzato che accetta di gestire l’emergenza con il governo. Per questo saranno creati «cinque gruppi di risposta immediata» per i quali chiede la partecipazione di sette ministri del governo. I tempi sono importanti e ogni volta è necessario ricordarlo: martedì c’è stata l’apocalisse a Valencia, solo venerdì è stato chiesto l’intervento dell’esercito e solo sabato (ieri) sono stati creati «cinco grupos de respuesta inmediata». Ecco, l’aggettivo “immediata” appare stonato.