La città pare esserselo dimenticato, il suo nome non risuona abbastanza tra le istituzioni culturali in cui lui gigioneggiava
Nella fisica il vuoto non è solo assenza di materia ma anche di energia. E quanto manca a questa sonnacchiosa Milano il brio di Philippe Daverio, scomparso il 2 settembre di ormai quattro anni fa lo si capisce solcando il suo «ufficio» in piazza Bertarelli, annusando il suo caos, con l'occhio che cade sul suo farfallino giallo a pois tra una statua africana e la testa di Alessandro Magno. Eppure la città pare esserselo dimenticato, il suo nome non risuona abbastanza tra le istituzioni culturali in cui lui gigioneggiava - dalla Scala di Milano all'aula magna dell'Università - portando ai ragazzi una sapienza appuntita come la sua erre moscia. E questo è un peccato.
Non basta l'alibi della società mordi e fuggi che viviamo, l'eterna velocità con cui passiamo le giornate, così poco futurista da farci dimenticare il nostro recentissimo passato. Certo, la sua impronta culturale rimane nei suoi innumerevoli libri; ci vorrebbe però qualcuno a mettere ordine nelle sue vestigia, un inventario della sua eredità da scolpire sulla pietra come la Crocifissione del Montorfano, con quelle facce contrite dal dolore che sembra cerchino invano i suoi occhi vispi.
L'altra sera la Rai, che ogni tanto si ricorda di essere la prima azienda culturale del Paese, ce l'ha riproposto in video. Su Raistoria è andata in onda la puntata de Il Capitale che rievocava le gesta di alcuni eroi delle spedizioni garibaldine, un omaggio gradito a noi ignoranti cronici - anche se lui amava definirli diversamente (Je dois apprendre aux courieux, «Devo insegnare ai curiosi») - orfani delle 300 puntate di Passepartout, della sua capacità di spiegare i mille rivoli della storia e dell'arte e della sua abilità di saperli intrecciare.
Un lampo di genio nell'oblio in cui Daverio sembra essere finito - purtroppo in ottima compagnia - anche nella sua città, una coltre più spessa della schighera tornata a fare capolino, in cui comunque la sua sagoma colorata si sarebbe distinta. Per chi tutela le arti belle - dal Comune alla Regione, dal Fai al ministero - l'esercizio della memoria (talento in cui Daverio eccelleva) non dovrebbe essere il compito più difficile, parbleue...