Quando "genocidio" viene usato a sproposito. È voler distruggere interamente un popolo

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L'espressione creata nel 1944 per definire lo sterminio degli armeni. L'Onu complica le cose, ma Israele non lo pratica

Quando "genocidio" viene usato a sproposito. È voler distruggere interamente un popolo

Genocidio è voler distruggere interamente un popolo, una nazione, un'etnia, un gruppo religioso oppure una razza: espressione, quest'ultima, ancor oggi in uso. Abbiamo scritto distruggere «interamente» e non «in parte» perché «interamente» fu l'espressione intesa per decenni e adottata in origine dall'avvocato Raphael Lemkin (polacco) che inventò appunto l'espressione «genocidio» nel 1944 per definire il genocidio armeno; lo fece in un suo libro, Axis Rule in Occupied Europe, e l'espressione fu usata per la prima volta durante il processo di Norimberga del tardo 1945: l'intenzione era fornire il diritto internazionale di strumenti idonei a garantire la tutela di un popolo, di una nazione, di un'etnia eccetera. Per comprendere quindi l'espressione «genocidio» in questa attualità dove è grande la confusione sotto il cielo (persino il cielo di San Pietro) andrebbe ricordato che fu pubblicamente Hitler, nel 1939, a dire che in Polonia bisognava ammazzare senza preoccuparsi: «Chi mai si ricorda, oggi, dei massacri degli armeni?». E invece non ne siamo ancora usciti: la nazione di Erdogan nega ancor oggi il genocidio degli armeni e nel 1980, negli Usa, fu promosso un museo sugli olocausti ma le minacce turche per escludere i riferimento agli armeni ottennero soddisfazione; nel 1982, la Turchia fece analoghe pressioni per impedire un convegno a Tel Aviv dedicato alla Shoah che doveva affrontare anche la questione armena; nel 2000, il ministro dell'Istruzione israeliano disse che il genocidio degli armeni sarebbe stato inserito nei programmi scolastici, ma la Turchia, per rappresaglia, non partecipò alla celebrazione per la nascita di Israele; nel 2006 Francia approvò una legge che punisce chi propaga teorie negazioniste sul genocidio, e questo, attenzione, mentre una durissima legge turca oggi incarcera chi solo lo menziona.

A complicare le cose, allora come oggi, fu l'Onu. Tra il 1946 e il 1948 codificò il reato di genocidio, e il passaggio che riguardava «gli atti commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte» fu scambiata per una volontà di distruggere anche espressamente «in parte», e non per una volontà che banalmente non era stata soddisfatta per intero. Il messaggio nazista tuttavia era stato chiaro: l'Olocausto degli ebrei e dei rom fu delegato a motivazioni esclusivamente razziali, e si parla di etnie destinate perciò non alla sudditanza, come altre, ma alla morte e basta. Di tutti. L'Onu, col tempo, prese peraltro ad associare il reato di genocidio ai crimini di guerra e contro l'umanità, e la confusione fu ancora più grande. Ciascuna nazione, poi, apportava magari delle piccole modifiche alle Convenzione sul genocidio del 1948 (cui l'Italia aderì nel 1967) e la Francia, per esempio, incluse il reato di genocidio tra quelli commessi ai danni di «un gruppo determinato sulla base di qualsiasi criterio arbitrario». Oggi, nel marasma dottrinario, si parla di «genocidio di sviluppo» (se le vittime ostacolano un progetto economico), «genocidio dispotico» (contro gli oppositori), «genocidio retributivo» (tra gruppi che abitano uno stesso spazio) e «genocidio ideologico» (per motivi religiosi o politici).

Ed eccoci finalmente all'oggi, a Israele, i cui metodi di guerra impiegati nella Striscia di Gaza, secondo l'Onu, «hanno le caratteristiche di un genocidio» come affermato nel novembre scorso. Ma, comunque la si pensi, gli israeliani non vogliono distruggere tutti i palestinesi in quanto tali: vogliono distruggere quelli che vorrebbero distruggere Israele o che siano ritenuti complici nel volerlo fare; non è che il Mossad vada in giro per il mondo ad ammazzare tutti i palestinesi, o preveda il loro sterminio come popolo sino ad estinguerne le prevalenze genetiche. Si può certo stra-discutere dell'enorme numero di vittime civili, del rispetto dei diritti umani, di eventuali crimini di guerra: ma «genocidio», orma. è divenuto un termine d'uso comune che sottintende l'omicidio di tanta gente di uno stesso posto.

I nazisti volevano cancellare dal genere umano «tutti» gli ebrei, «tutti» i rom, «tutti» gli omosessuali e «tutti» i disabili e i malati di mente: fu questo il tentativo di genocidio. I nazisti non volevano fare lo stesso con polacchi, ucraini, russi e bielorussi: anche se ne fecero fuori una decina di milioni. Esempi più recenti? L'etnia hutu, in Ruanda, nel 1994, voleva estinguere l'intera etnia tutsi. Ma non è il caso di fare elenchi, sarebbero sterminati e comunque giustamente discutibili. Il problema è che, oggi, c'è chi vorrebbe trasformare l'espressione genocidio nell'equivalente de «l'assassinio di qualsiasi persona o popolo da parte di un governo», traducibili anche come «democìdio». E nonostante il Novecento sia stato già definito come «il secolo dei genocidi», le scienze moderne si stanno ingarellando nel retrodatare tutti i «genocidi» sin dall'alba dell'uomo moderno, quando l'homo Sapiens (teoria diffusa) compì il primo genocidio della Storia spazzando via tutti i Neanderthal, anche se impiegò 10mila anni; sino a tempi teoricamente anche più bui, quando spagnoli e portoghesi fecero fuori (complici le malattie) 70 milioni di nativi americani su ottanta, o, restando al Messico, dissolsero 24 milioni di messicani lasciandone vivi solo un milione; per non parlare della strage di aborigeni in Australia, del solo africano su quattro sopravvissuto nella tratta oceanica dall'Africa alle Americhe.

Tutto per scoprire che il peggiore dei reati non è neppure un reato, ed è scandalosamente in uso anche alle scimmie antropomorfe a noi più vicine: e si può chiamare missione di pace, intervento umanitario, operazione di polizia internazionale: ma resta e si chiama guerra.

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