La “quiete” nonostante la tempesta. A riportarla, nel centrodestra afflitto degli ultimi tempi, è stato alla fine Marco Bucci. Il sindaco di Genova con quasi il 49 per cento delle preferenze non si è infatti solo guadagnato il diritto a traslocare di 500 metri - da palazzo Doria-Tursi a piazza De Ferrari - ma ha pure consentito agli alleati di governo di cominciare a mettere in discesa il percorso che porta Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia verso la fine del secondo anno di governo e verso le nuove tappe elettorali. Quelle immediate di Umbria ed Emilia-Romagna, da cui ora il centrodestra non solo potrebbe permettersi di tornare a mani vuote dopo aver sovvertito i vaticini di una totale débâcle ma pure sperare in un clamoroso 2-1. E quelle del 2025 in Veneto, Campania e Puglia (al voto anche Marche e Valle d’Aosta), elezioni che coinvolgono quasi un italiano su quattro e che hanno un sapore a metà tra il midterm e la resa dei conti tra gli alleati.
LE RIFORME
Inevitabile quindi che a sera, dopo un testa a testa serrato quanto l’intera corsa elettorale, la gioia strabordi e ci si lanci in esultanze che finiscono con l’includere lo scontro in corso con alcune toghe. «La fiducia» e «le aspettative dei cittadini» soddisfatte di cui parla Meloni nel suo post di festeggiamento, assieme alle «nostre politiche» e alla «concretezza dei nostri progetti» diventano immediata allusione ad «inchieste sconfessate» e «complotti sconfitti» da parte dei suoi fedelissimi. Gli stessi che si dicono pronti più che mai a rilanciare la sfida ai giudici su tre fronti: la separazione delle carriere dei magistrati; il tetto a 45 giorni per le intercettazioni; i criteri di priorità dell'azione penale. Ma pure a ripercorre i tornanti lungo cui si è dispiegata una campagna elettorale che ha donato una suspense non a caso più vicina all’indolenza romana che al pragmatismo ligure. Dall’ipotetico trionfo del centrosinistra sulle rovine totiane, si è passati all’ottimismo donato dalla disponibilità di Bucci a lanciarsi nella via Crucis culminata ieri ma diventata rapidamente dura e irrispettosa. Uno slancio riequilibrato dai sondaggi che hanno a lungo considerato favorito Andrea Orlando, almeno fino a quando la presunta compattezza del Campo largo si è sgretolata appresso alle (solite) spade incrociate a Roma tra Giuseppe Conte e Matteo Renzi, con tanto di aggiuntivo trauma pentastellato per il parricidio di Beppe Grillo.
Una trama fatta e disfatta a più riprese che però alla fine consegna al centrodestra la possibilità di rivendicare la Liguria come uno dei successi dell’esecutivo. Il «buon governo» invocato da Meloni sul palco di Genova venerdì è ora - nelle letture di via della Scrofa - magnificato dai numeri. Eppure, a guardarle quelle cifre, qualche scricchiolio si percepisce lo stesso: per dire, tralasciando le liste civiche, il Partito democratico ha doppiato Fratelli d’Italia; Genova, dove si voterà a giugno prossimo, è stata tinta di rosso dal pallottoliere ri-agitando i fantasmi cagliaritani di Paolo Truzzu; o, ancora, FdI è passata dai 68mila voti del 2020 ai 167mila di giugno ai circa 79mila di ieri, in una crescita molto meno esponenziale di quella registrata altrove che in Liguria costringerà anche in futuro a fare i conti con l’influenza di Toti.
È tutto relativo, ovviamente. Specie perché la vittoria ligure pare rafforzare più di tutti proprio Meloni. È stata la premier infatti a rompere l’impasse, boicottare infine l’idea di un candidato civico e puntare decisa su Bucci. E quindi è lei ora a rivendicare di aver messo in luce le contraddizioni di una sinistra sfaldata. Ed è sempre lei ad intestarsi la vittoria senza se e senza ma. L’offerta rifiutata dalla Lega per timore di una sconfitta considerata certa e, soprattutto, di dover rinunciare definitivamente al Veneto, assume un valore da non sottovalutare.
Sul fronte interno il peso specifico di via della Scrofa è crescente. Il che, proiettandosi al 2025, indica piuttosto chiaramente chi dovrà essere a far carte per il dopo Luca Zaia. E pure, perché no, a far ordine sui potenziali successori di Michele Emiliano e Vincenzo De Luca. Una sfida all’ultima preferenza di cui la Liguria è un antipasto neanche troppo modesto.
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