Quello che conta stavolta è il “tempismo”, come ha sottolineato lo stesso portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov. La nuova dottrina nucleare russa era pronta da tempo tanto che lunedì diversi analisti ne parlavano come di un testo già assodato. Ma la firma del presidente Vladimir Putin è arrivata soltanto ieri, a orologeria, nel millesimo giorno di conflitto in Ucraina e soprattutto a poche ore dal lancio dei primi sei missili Atacms di fabbricazione statunitense contro la regione russa di Brjansk da parte di Kiev.
Le novità della dottrina nucleare russa
Il testo aggiornato prevede che le armi nucleari vengano utilizzate a scopo di difesa “come misura estrema e ultima risorsa”, ma abbassa significativamente la soglia delle condizioni che consentirebbero a Putin di ricorrere all’arsenale atomico di Mosca, il più grande al mondo. Non più la “minaccia all’esistenza stessa dello Stato” prevista nel precedente documento del 2020. Adesso basta un attacco con armi convenzionali, come droni e missili, che costituisca una “minaccia critica alla sovranità e/o integrità territoriale” della Russia e della sua alleata Bielorussia.
D’ora in poi, inoltre, l’aggressione da parte di qualsiasi Stato non dotato di atomiche, come l’Ucraina, ma con la partecipazione o il sostegno di una potenza nucleare, come gli Stati Uniti, potrà essere considerata come un’aggressione “congiunta” e qualsiasi attacco da parte di uno Stato membro di una coalizione militare potrà essere visto come un attacco “da parte dell’intero blocco”. Un chiaro riferimento alla Nato. E la risposta potrà essere diretta anche “contro Stati che mettano a disposizione il territorio, lo spazio aereo o marino e le risorse sotto il loro controllo per la preparazione e l’attuazione” di tali aggressioni.
“La deterrenza nucleare mira a garantire che qualsiasi potenziale avversario si renda conto dell’inevitabilità della rappresaglia in caso di aggressione contro la Russia e i suoi alleati”, minaccia il documento dal titolo apparentemente blando e burocratico “Principi fondamentali della politica statale sulla deterrenza nucleare”.
Tutto come previsto. Putin aveva illustrato le novità durante una riunione del Consiglio di sicurezza di metà settembre, quando il via libera a Kiev all’uso di armi a lunga gittata per colpire il territorio russo era soltanto oggetto di discussione negli Stati Uniti. Adesso che è realtà, anche Putin è passato dalle parole ai fatti.
Medvedev: “Terza Guerra Mondiale”
L’oramai guerrafondaio Dmitrij Medvedev non aspettava altro. Alla notizia della firma di Putin e dell’attacco contro Brjansk, il numero due del Consiglio di Sicurezza ed ex premier e presidente è tornato a ventilare lo spettro di una “Terza Guerra Mondiale”. I propagandisti in tv si sono scatenati. “Il nemico deve sapere soltanto una cosa: il castigo è ineluttabile”, ha tuonato Olga Skabeeva durante il talk show del pomeriggio 60 Minuti.
Il ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha consigliato ai Paesi occidentali di studiare per bene la nuova dottrina. L’attacco contro Brjansk è “un segnale che l’Occidente vuole un’escalation”, ha osservato a margine del vertice del G20 in Brasile, ma alla domanda se la Russia stesse prendendo in considerazione una risposta nucleare ha messo le mani avanti: le autorità russe sono “convinte che le armi nucleari siano principalmente destinate a prevenire qualsiasi guerra nucleare”. La parola d’ordine resta deterrenza.
L’esperto nucleare Podvig: “Nessun automatismo”
Anche il direttore del centro di ricerca “Russian Nuclear Forces” Pavel Podvig, al telefono con Repubblica da Ginevra, ha frenato. “Era tutto previsto e annunciato. La firma è chiaramente mirata a limitare il coinvolgimento dell’Occidente nel conflitto in Ucraina. È un tentativo di segnalare che ora ci sono più scenari in cui la Russia si riserva il diritto di usare armi nucleari. Crea più incertezza sui potenziali sviluppi. Ma non vuol dire che sia già stata oltrepassata una linea rossa”, dice. “Non c’è alcun automatismo. Non significa che domani la Russia userà l’atomica”.
L’opinione diffusa è che Mosca eviterà di alzare l’asticella nei due mesi che mancano all’insediamento di Donald Trump. Anche Peskov lo ha lasciato intendere dicendo che, se il presidente eletto sarà pronto ad “ascoltare le preoccupazioni” e a “capire le ragioni” della Russia, un dialogo “per il raggiungimento della pace” sarà possibile.
Stanovaja: “Rischio escalation”
Controcorrente Tatiana Stanovaja, la fondatrice e direttrice del think tank indipendente “R.Politik”, che invece pensa che proprio questo sia il momento “allettante” per un’escalation. “Con Trump non ancora in carica, una mossa del genere non interferirebbe con alcuna iniziativa di pace immediata, ma potrebbe invece rafforzare l’argomentazione di Trump per un dialogo diretto con Putin. Allo stesso tempo esporrebbe Biden alle critiche per essere stato il catalizzatore dell'escalation, scoraggiando potenzialmente l’Ucraina dall’utilizzare ulteriormente missili a lungo raggio”, ha scritto su X. “Putin potrebbe cercare di presentare all’Occidente due scelte nette: “Volete una guerra nucleare? L’avrete” oppure “Mettiamo fine a questa guerra alle mie condizioni””.
Anche Sergej Rjabkov, il viceministro degli Esteri russo che supervisiona il controllo degli armamenti e le relazioni con gli Stati Uniti, ha avvertito: “Ora il pericolo di uno scontro armato diretto tra potenze nucleari non può essere sottovalutato. Ciò che sta accadendo non ha analogie nel passato, ci stiamo muovendo attraverso un territorio militare e politico inesplorato”.