Vino e cambiamenti climatici, la tecnologia non può bastare a salvare il settore

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Bianca Mazzinghi

Bianca Mazzinghi

Docente corsi di vino e giornalista

Ambiente & Veleni - 26 Ottobre 2024

Vino e cambiamenti climatici, la tecnologia non può bastare a salvare il settore

“È il momento di cambiare paradigma, rapporto con la natura”, dice Federico Varazi, vicepresidente Slow Food Italia alla presentazione della guida Slow Wine 2025. “La tecnologia da sola non è la soluzione, bisogna cambiare l’idea di mondo”. È la stessa frase sentita tre giorni prima alla presentazione del libro Ecofascisti di Francesca Santolini, con Marco Cappato e Ferdinando Cotugno. È una frase che chi vuol sentire sente da sempre. La novità sta forse nel fatto che oggi si possa dire senza essere accusati di promuovere un ‘ritorno alle grotte’, come avveniva pochi anni fa e avviene ancora in certi ambienti.

I produttori sono ormai stanchi di sentire mettere in dubbio il riscaldamento climatico, il negazionismo è ormai prerogativa quasi esclusiva della destra italiana. Il cambiamento climatico è adesso riconosciuto, è il messaggio del libro di Santolini, ma dobbiamo continuare ad analizzarlo in un contesto globale, in quanto si stanno diffondendo messaggi reazionari che ne attribuiscono strategicamente la colpa a migrazioni, popoli del sud del mondo, modernità (le destre estreme), oltre a chi, invece di mettere in dubbio i modelli che lo hanno alimentato, insiste che sarà la tecnologia a salvarci, individuando in capitale e ricerca gli unici ingredienti per salvare il pianeta (tecno-ottimisti).

Non potendo negare il cambiamento, l’ala più conservatrice del settore del vino, anziché mettere in discussione i modelli, propone soluzioni tecnologiche, come vitigni resistenti, portainnesti, gestione del vigneto, sistema di allevamento… Soluzioni necessarie? Molte sì. Sufficienti? No. “Nelle sfide come il cambiamento climatico – scrive Santolini – la tecnologia non basta: va contestualizzata e usata come integrazione strategica di un piano d’azione globale per il clima”. E qui arriviamo alla domanda fatidica: è possibile essere ecologisti senza avere una precisa idea di mondo? No, l’ecologia non è possibile senza un’idea di mondo. Rispondono i relatori dei due eventi.

Quali sono dunque queste idee di mondo? Da un lato quella reazionaria di destra (Le Pen), che vede nell’uomo chiuso nel suo limitato recinto naturale l’unica possibilità di salvaguardia del territorio, presentata bene da Naomi Klein nel testo Doppelganger e che Santolini definisce ‘una manipolazione insidiosa e una falsificazione subdola’, una nuova forma di fascismo: un me contro te costante fomentato dalla paura del noi contro loro. Dall’altra quella di uno scenario globale in cui la questione ecologica è trasversale e l’interesse non è autoproteggersi a scapito degli altri ma con gli altri, in cui un’alluvione in Cina o in Emilia hanno cause comuni e devono avere soluzioni comuni (oltre a quelle particolari di protezione del suolo).

Significativa in questo senso la giustificazione del Premio Slow Wine alla Solidarietà a Bergianti: “Organismo è il termine che Simona Zerbinati e Gianluca Bergianti hanno scelto per definire la propria azienda agricola. Il vino che si inserisce in un sistema complesso che pone al centro rispetto per la natura e per le persone… convinti che l’inclusività e l’accoglienza delle diversità possano rendere più fertile non solo la terra ma anche gli uomini”.

In questo continuo parallelo tra i due eventi, una delle frasi centro della questione viene buttata là in chiusura del martedì da Ferdinando Cotugno: parlare di Oriente e Occidente come blocchi contrapposti è deleterio per l’ecologismo, “Più diciamo Grazie Occidente e messaggi del genere più stiamo aggravando la situazione”.

Se la politica della ‘seconda visione di mondo’ ha degli ostacoli, come il superamento o il ritocco del capitalismo e l’allargamento del consenso, per chi si professa intellettuale o elargendo visioni di mondo vive, non dovrebbe essere più ammissibile non legare l’ecologismo a una precisa idea di futuro, che attraversi agricoltura, vino, lavoro (vedi Thunberg Gkn), cultura, diritti universali degli agricoltori in Palestina o nelle comunità indigene come in Emilia.

“In politica arrivare troppo presto è come arrivare troppo tardi”, disse una volta Civati citando d’Alema che citava Andreotti. E oggi, nell’età della ricerca del consenso su larga scala, sembra valere anche per gli intellettuali. Ma forse è arrivato il momento in cui questo messaggio può essere compreso, soprattutto dai giovani. E allora è il caso di ripeterlo: l’ecologismo senza la ricerca di una giustizia sociale universale e il superamento della divisione dei blocchi si chiama ecofascismo.

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