Presidente Scudieri, il rischio che Volkswagen chiuda tre stabilimenti sembra a dir poco concreto: cosa succederà alla componentistica italiana?
«Le ripercussioni ci saranno, senza alcun dubbio, perché l'Italia è sempre stato il primo esportatore di componentistica in Germania - risponde Paolo Scudieri, Cavaliere del Lavoro, leader nazionale dell'automotive con il Gruppo Adler e già presidente dell'Anfia, la filiera di settore, nonché di Srm - Volkswagen potrebbe chiudere impianti che producono per lo più auto elettriche e concentrarsi sempre di più in questa fase sulle auto ibride. Ma questo, purtroppo, conferma ancora una volta quanto diciamo da tempo: la data del 2035 decisa dall'UE per passare al solo motore elettrico è la vera causa di questa criticità».
Si aspetta ulteriori contraccolpi anche sul già precario mercato italiano dell'auto?
«Se non si fa chiarezza sui tempi e sulle modalità della transizione verso il futuro la confusione dei consumatori, non solo in Italia ma in tutta Europa, è destinata a crescere. L'incertezza cambia le regole del gioco e noi a questo gioco non siamo affatto pronti a partecipare. Non c'è, ad esempio, la quantità di colonnine necessaria a favorire l'utilizzo delle auto elettriche e sappiamo ormai che ne occorrerebbero 20 volte in più dell'attuale rete di impianti di distribuzione di carburanti».
Tutte le grandi compagnie automobilistiche hanno investito sull'elettrico decine di miliardi di euro: è immaginabile che abbandonino la partita?
«È una delle domande chiave. Chi ripagherà le aziende che sono state costrette a quegli investimenti da una scelta incomprensibile della politica europea della precedente legislatura? Siamo di fronte a quelli che non esito a definire gli omicidi immateriali commessi ai danni dell'industria automobilistica europea, una stortura assurda che segnerà purtroppo un'epoca».
Già, ma chi ripagherà le aziende?
«Io non vedo altra soluzione che l'emissione di bond, di titoli di debito cioè, per ristorare investimenti che ad oggi non hanno alcuna certezza di ritorno in termini di ammortamento. Paghiamo le conseguenze di una scelta ideologica che non ha nemmeno preso in considerazione l'ipotesi, praticabilissima, di ricorrere all'idrogeno o ai carburanti sintetici, indirizzando l'intero settore verso una tecnologia che non è nel controllo dell'Europa ma della Cina. Con i bond si eviterebbero, almeno in parte, tensioni sociali altrimenti già dietro l'angolo».
Le aziende, come Stellantis in Italia, spingono per gli incentivi.
«L'incentivo in questa fase non è molto attinente con la realtà perché, anche se incentivato, lacquisto di un'auto elettrica non può essere paragonato in termini di fruibilità all'auto con motore endotermico. Un conto è girare in città, potendo contare su un garage da cui attingere l'energia necessaria; un altro è pensare di andare da Napoli a Milano, non ci sono le condizioni minime adeguate».
Il governo italiano ha chiesto di anticipare la revisione dei parametri europei anti-inquinamento, ha fatto bene?
«Sicuramente. Bisogna allungare i tempi dell'endotermico, aprendo a nuove tecnologie come lidrogeno sintetico o il biocarburante, scavallando la scadenza del 2035. Ma intanto bisognerebbe anche incentivare la fine del circolante con motori da Euro zero a Euro 4 che sono sicuramente più inquinanti ma che sulle nostre strade sono ancora 15-20 milioni. Parliamo di un bacino di vettura che non hanno nemmeno parametri di sicurezza, attiva e passiva, adeguati. È paradossale che il legislatore europeo non intervenga».
E i dazi europei sulle auto cinesi?
«Inutili anche loro. Un altro boomerang: la Cina minaccia per ritorsione di non investire più in Europa e in mondo comunque globale sarebbe un colpo durissimo. La vera strada è la contrapposizione tecnologica e l'Europa come l'Italia possono dire la loro».