Giustizia & Impunità
La singolar tenzone in Tribunale tra Alberto Gottardo, giornalista senza peli sulla lingua, e il governatore veneto Luca Zaia, si è conclusa con un’assoluzione che non lascia dubbi. La supposta diffamazione del leghista più famoso del Nordest non c’è stata. Non sono bastati i riferimenti ad espressioni quali “cretino” o “incompetente”. E neppure le allusioni alla gestione di Buonitalia, società partecipata dal ministero dell’Agricoltura, all’epoca in cui Zaia era ministro, o l’ignara vicepresidenza della Regione Veneto, negli anni in cui il doge Giancarlo Galan si era macchiato di mazzette e corruzioni su vasta scala legate allo scandalo Mose, finendo in carcere. Non sono bastate neppure le affilate parole contro l’invenzione massmediologica di Zaia durante il Covid, uno spettacolo in diretta televisiva – sotto forma di conferenza stampa permanente – che entrava nelle case dei veneti, in un mix di informazione, rassicurazioni sanitarie, politica e propaganda, che si era avvicinata ai confini imbarazzanti di una televendita (non di prodotti, ma di consenso).
Accusato di aver usato la lingua come la spada, Gottardo (difeso dall’avvocato Roberto De Nicolao) è stato assolto perché il fatto non sussiste dal giudice Vittoria Giorgi. Il pubblico ministero Antonella Framarin aveva chiesto una condanna a 9 mesi di reclusione. L’avvocato Antonella Lillo di Treviso aveva chiesto un risarcimento danni di 50mila euro, sulla base di tre querele depositate in epoche diverse (nel 2017 e nel 2020), poi riunite in un unico procedimento. Le accuse di diffamazione si riferivano a valutazioni espresse durante alcune trasmissioni sulle emittenti Antenna Tre, Radio Padova e Radio Cafè, in un periodo compreso tra il febbraio 2017 e il maggio 2020. Al giornalista era stato addebitato di non aver rispettato i requisiti di verità pertinenza e continenza, “necessari ad integrare il diritto di cronaca o di critica”. I termini offensivi sarebbero consistiti in “cretino”, “incompetente”, “laureato in bottiglioni di vino”, “uno che dice supercazzole” e “presentatore di televendite che vende pentole”. Linguaggio piuttosto colorito (Gottardo ha collaborato per alcuni anni anche a “La Zanzara”) che ha indispettito Zaia. Il presidente della Regione ha deposto qualche mese fa, spiegando di aver dato a Gottardo la possibilità di chiedere scusa, nel qual caso avrebbe ritirato la querela, come fatto in altro occasioni con altre persone. Il giornalista non si era piegato alla richiesta di ritrattazione, affermando di aver esercitato il diritto legittimo di informazione e di critica, spiegando caso per caso il peso delle parole usate.
La difesa aveva fatto testimoniare anche un linguista di fama, come il professore universitario Michele Cortellazzo. “In merito al termine ‘cretino’, utilizzato dal signor Gottardo in una trasmissione radiofonica a proposito di un video promozionale in cui lo avrebbe visto (Zaia, ndr) in mezzo a una vigna a fare il karaoke come un cretino e ha provato vergogna per lui, posso dire che ‘cretino’ è in sé una parola che si situa nell’ambito dell’ingiuria, ma dell’ingiuria debolissima”. Aveva citato gag di avanspettacolo (fratelli De Rege) o televisiva (Chiari e Campanini) , in cui si diceva “vieni avanti cretino”. Aveva riassunto una ricerca storica, concludendo: “Oggi il carico insultante di una parola come ‘cretino’, che è indubbio che ci sia, è assolutamente ai livelli più bassi possibile”. Poi ha classificato il “laureato in bottiglioni” e la “supercazzola” come espressioni del “nuovo folklore verbale”, al massimo di un’iperbole linguistica, “perché nessuno immagina che uno possa essersi laureato in bottiglioni di vino”. E ha ricordato che il corso di laurea in Scienze della Comunicazione, di cui è stato presidente, “veniva spesso denominato ‘Corso di laurea in Scienze delle merendine’”, con una “esagerazione verso il basso del valore di un titolo di studio”. Il commento del giornalista Gottardo: “Sono dispiaciuto, perché questo processo è costato tempo e denaro a me, e purtroppo tempo e denaro anche ai veneti. Zaia, infatti, non mi ha querelato come privato cittadino, ma in qualità di presidente regionale e su delibera della Giunta. Ero però sicuro che il giudice mi avrebbe assolto: la critica politica non è reato e la lesa maestà in democrazia non esiste”.