Alluvione Valencia, a Paiporta l'epicentro del disastro: morte qui un terzo delle vittime. «Aspettiamo acqua, cibo e farmaci, ma non arriva nessuno»

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Il "punto zero" della Dana, l'epicentro del disastro, il "cimitero" a cielo aperto più grande del Paese. Paiporta, cittadina di 23mila abitanti situata a venti chilometri da Valencia, è il luogo più devastato dall'alluvione che ha colpito la Spagna nei giorni scorsi. Sia per quanto riguarda i danni alle abitazioni e alle infrastrutture, sia per le vittime. Al momento, infatti, sarebbero 62 i morti nella città. Quasi un terzo di quelli registrati in tutto il Paese.

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Il centro della catastrofe

Lì dove tutto è partito, lì dove (quasi) tutto è finito. In pochi istanti a Paiporta la Dana ha spazzato via vite, sogni, progetti. Non solo delle 62 vittime, ma anche di tutti gli abitanti costretti ora a ripartire da zero, dopo aver perso praticamente tutto. Tra le città più colpite dall'alluvione, Paiporta sembra essere stata quella da cui è partito tutto. Una sorta di "punto zero" della catastrofe, un vero e proprio epicentro del disastro. Non solo durante la tragedia, ma soprattutto dopo, nel momento della conta dei danni. Qui, la foto "simbolo" dell'alluvione, con decine di auto ammassate una sopra l'altra. Qui, la storia del proprietario dell'officina travolta dal fango, oltre a quella di Cristina Lopez, 53 anni, che col marito Victor Monleon e il figlio Hugo sono scampati alla morte.

Tanti, troppi, i racconti tragici. 

Non c'è pace nemmeno per i morti

A Paiporta non c'è pace nemmeno per i morti. Come riporta "El Confidencial", il cimitero è inondato d'acqua e si possono vedere i fiori lasciati dai parenti galleggiare in un'acqua densa e marrone, in un pantano che ormai ricopre l'intera cittadina. Un terzo dei morti appartiene a questo comune, dove il torrente d'acqua provocato dal DANA ha distrutto tutto sul suo cammino. Il tutto, mentre manca l'acqua e il gas. Di Paiporta non è rimasto altro che il ricordo di quello che era: «La metropolitana non esiste, i binari sono sospesi. Un ponte è stato portato via dal fiume. Non ci sono bar, ristoranti, farmacie, la clinica è distrutta». Non ci sono supermercati, non c'è acqua potabile, non c'è più niente della piazza del paese, inaugurata qualche anno fa.

Le conseguenze dell'alluvione

Pale e secchi per spalare il fango per strada, negozi saccheggiati, bambini nelle carrozzine, anziani sulle sedie a rotelle, migliaia di persone in fila tra le auto capovolte e gli alberi sradicati, in cerca di acqua potabile e cibo. Questa la diapositiva di Paiporta e dei comuni a sud di Valencia. Da La Torre a Picana, passando per Chive, Cheste, Torrente, la situazione è sempre la stessa. In senso contrario arrivano a piedi brigate di giovani volontari con tutto quello che riescono a portare in spalla alle popolazioni colpite. Tre giorni dopo le piogge torrenziali che si sono abbattute nel sudest della Spagna, l'ecatombe appare nella sua terribile dimensione: il rosario dei morti ha superato le 205 vittime e un numero ancora imprecisato di dispersi, quando cominciano ad arrivare le prime squadre della Protezione civile. «Stanno tirando fuori i cadaveri dalle auto, dai garage, dalle case. Proprio qui accanto, i corpi di quattro vicini, una coppia e due uomini, travolti nello scantinato di casa», dice all'ANSA Cristina Lopez, 53 anni, che col marito Victor Monleon e il figlio Hugo sono scampati alla morte a Paiporta, epicentro della catastrofe. «Alcune squadre di pompieri sono arrivate questa mattina, ma per 48 ore siamo stati soli, immersi in un mare di fango. Martedì sera è accaduto tutto in dieci minuti. Se avessero dato l'allarme prima non ci sarebbero stati tanti morti. La gente non ha avuto il tempo di mettersi in salvo dall'onda del fiume in piena che ha coperto tutto», denuncia.

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La fine dei sogni

Le proteste per i ritardi con cui le autorità hanno messo in allarme la popolazione e per la mancanza di approvvigionamento di acqua potabile e di corrente elettrica sono corali. «L'acqua del torrente è salita a tre metri in pochi minuti. Ho avuto solo il tempo di prendere le chiavi di casa nell'autofficina e scappare che già ero immerso fino al collo», ricorda Gaetano Marletta, 52 anni, titolare della autofficina 'Taller Marletta', che come tutti gli altri negozi della cittadina, con le saracinesche divelte dallo tsunami di fango, è stata devastata dall'ondata di piena che dal bacino del Poyo ha travolto Chiva, Cheste, Torrente, Catarroja, Picana, fino a Paiporta, portandosi via tutto quello che ha trovato davanti. Maria Gracia Lourdes, la giovane mamma di 34 anni con il neonato di 3 mesi ritrovata morta nell'auto, che il marito aveva tentato di ancorare a un palo della segnaletica perché non fosse trascinata via dalla forza del torrente impazzito, era di qui, di Paiporta. «Abbiamo sperato fino alla fine in un miracolo, ma non c'è stato. Siamo devastati», dice Maribel Gomez, una vicina fra le lacrime. La sindaca Maria Isabel Albalat conferma che sono almeno 62 le vittime finora recuperare nel municipio. Mentre i residenti aspettano le pompe dei vigili del fuoco per aspirare la marea nera, senza sapere quando e se arriveranno. «Abbiamo bisogno di acqua, di cibo, di medicine, gli aiuti non arrivano», denuncia Cristel, residente con la famiglia a Catarroja, trasformata in un mare di fango e dove è impossibile superare la barriera delle auto, delle pietre e dei detriti lasciata dall'onda nera. Nel garage di un edificio di due piani di La Torre hanno recuperato gli 8 residenti morti, travolti dalla piena del Poyo. Come quella del Magro, l'altro torrente trasformato dalle piogge torrenziali in una valanga di fango, ha raggiunto martedì sera la furia devastante di 2.200 metri cubi al secondo. E sono almeno una cinquantina i cadaveri trasferiti alla morgue centralizzata in un parcheggio allestito con celle frigorifere al piano interrato del Palazzo di Giustizia di Valencia, dall'altro lato dell'antico corso del Turia. Lo conferma Manquique Castello, il responsabile di comunicazione della cittadella giudiziaria, spiegando che ai familiari non è stato dato accesso fino all'identificazione delle vittime, anche attraverso gli esami di Dna, e dopo le autopsie praticate da una squadra di medici forensi. E' di fronte al Palau de la Musica e delle Arti, l'emblema della Valencia da bere, ora simbolo di morte. E dell'immane tragedia. 

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