Bitcoin, è ora di prenderlo sul serio

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C’è qualcosa di più dell’azzardo, del mistero anarchico attorno origini oscure dell’inventore Satoshi Nakamoto, del brivido un po’ romanzesco dell’incrocio tra hacker, criminali, banche offshore che accumulano grandi fortune per lo più virtuali e magari si trasformano in bizzarri mecenati dell’arte. Il mondo delle criptovalute è diventato un’industria, persino più seria e strutturata dei suoi testimonial più pesanti: Trump, Musk (e di riflesso il nostrano Salvini). Il Bitcoin vede quota 100 mila dollari, un numero che abbaglia ma che in termini finanziari significa poco. Conta più come ci sia arrivato. La quantità di denaro investita in Bitcoin equivale in termini di capitalizzazione alla settima società di Wall Street. Ben prima delle settimane post elezione Trump la principale delle criptomonete (ma performance analoghe, se non superiori hanno registrato altre “divise” come Tether o Dogecoin) aveva raddoppiato il proprio valore da 40 mila a 80mila dollari.

Cosa c’è sotto

Tutte le autorità di vigilanza, dall’americana Sec fino alla Consob italiana, ma anche le grandi banche e i gestori del risparmio invitano tutti chiedersi cosa c’è sotto: come mezzo di pagamento non sono abbastanza “facili da utilizzare”, come strumenti di investimento non hanno un’attività sottostante su cui misurarle. E’ innegabile che il vero motore delle criptomonete sia solo la domanda degli investitori stessi, ma c’è e non così effimera o sprovveduta. Non è diversa dal motore che spinge le quotazioni di tanti titoli di Borsa: qualsiasi analista sa che in tanti casi le aspettative pesano più della reale consistenza del business. Allora da cosa deriva tanta diffidenza? La risposta è sostanzialmente: il pericolo che questo “cugino bohemien” del grande capitale contagi i mercati con qualche shock imprevisto.

Intervento urgente

In realtà ribadire la stranezza dei Bitcoin aumenta, e non diminuisce, la loro pericolosità per i mercati. È ora di accettarlo definitivamente al tavolo dei grandi, delle “asset class” regolamentate. Questa è la strada maestra: provenienza, costi reali, effetti sulla spesa energetica, tassazione (nazionale e internazionale) vanno tutti messi bene in chiaro e trasformate in variabili trasparenti e misurabili. Non saranno mai un buon impiego per i risparmi di “vedove e orfani” come si diceva un tempo, e magari, più regolamentazione si trasformerà in una crisi di crescita che li allontanerà dai 100 mila dollari. Ma l’intervento è urgente e necessario.

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