Non solo guerra a Kiev, ma anche le campagne sporche in Moldavia e Georgia. All'interno indottrinamento negli asili
Volodymyr Zelensky chiede agli alleati di riconoscere nella minaccia nordcoreana rivolta al suo Paese un passo di concreta escalation verso un conflitto mondiale. Attenzione, avverte il presidente ucraino, l'asse delle autocrazie a guida russo-cinese è sempre più coeso e sfacciato, ormai manda contro di noi truppe di un regime allineato senza quasi nasconderlo e se non si agisce con decisione per fermarlo adesso, dopo sarà tardi per fermare un conflitto fuori controllo. Questo sul piano militare. Ma esiste un altro fronte di questa guerra mondiale a pezzi che troppi si sforzano di non vedere. Gestito con metodi diversi da quelli brutali che la Russia di Putin utilizza in Ucraina e che la Cina di Xi Jinping si prepara a impiegare contro Taiwan.
È il tentativo putiniano di piegare al destino della Bielorussia, che sotto Lukashenko altro non è più se non una provincia vassalla dell'impero di Mosca indipendente solo di nome, altri Paesi che aspirano a entrare nel club delle libere democrazie europee. E di piegarle, nel caso della Moldavia e della Georgia di cui intendiamo parlare, attraverso l'interferenza elettorale o la negazione dei diritti civili attuata da un governo amico del regime russo. A Chisinau l'abbiamo appena visto in occasione del decisivo appuntamento elettorale di domenica scorsa: disinformazione a manetta made in Russia contro la causa europeista e fiumi di denaro sporco passati dalle mani di un oligarca moldavo filo-Putin per comprare alla Achille Lauro i voti di tanti elettori poveri. A Tbilisi lo vedremo nel prossimo fine settimana: l'ultima occasione per liberarsi attraverso il voto del partito filorusso Sogno Georgiano attualmente al governo rischia di essere schiacciata da un mix di brogli, intimidazioni e violenze contro manifestanti ed elettori pro Ue, in un Paese in cui è già stata introdotta una legge-fotocopia di quella in vigore in Russia che bolla come «agenti stranieri» associazioni e individui sgraditi al regime, ostacolandone o vietandone le attività.
Per Putin, però, non esiste soltanto un fronte esterno (anche se lui pretende di considerarlo interno a una «zona d'influenza di Mosca» che esiste solo nella sua fantasia), ma anche uno interno russo. Il suo regime autoritario mira a ricostituire con la violenza un impero eurasiatico anche attraverso il controllo dei suoi stessi compatrioti, chiamati a essere parte attiva di un progetto megalomane. Obiettivo privilegiato del lavoro per conquistare le menti dei russi sono i giovani. Con buona parte di quelli in grado di ragionare la partita è fallita: basti guardare al milione che sono fuggiti all'estero per non finire arruolati contro l'Ucraina, o al numero sempre crescente di minorenni che vengono processati e incarcerati per atti anche solo simbolici di opposizione alla guerra o al regime stantio in cui sono immersi fin dalla nascita. Perciò si è passati alla propaganda patriottica nelle scuole di ordine inferiore e perfino negli asili d'infanzia, dove vengono organizzati eventi con reduci dal fronte ucraino in divisa rivolti perfino a bambini di tre-quattro anni d'età.
Uno sforzo d'indottrinamento contro il «nemico occidentale» (cioè noi) che la possibile vittoria di Donald Trump potrebbe aiutare a coronare di successo.
Se già oggi Apple annuncia lo stop su richiesta di Mosca della disponibilità in Russia della app di Radio Free Europe (una delle ultime opportunità di informazione indipendente), domani con il blocco delle armi Usa per Kiev Putin riceverà il messaggio che aspetta per spingere sull'acceleratore del suo disegno imperiale.