Guerra e diplomazia. Dialogo, ma anche razzi e bombe. Il giorno dell’incontro tra il premier israeliano Benjamin Netanyahu e i due inviati di Joe Biden, Amos Hochstein e Brett McGurk, è stato bagnato dal sangue. Sette morti: cinque vicino a Metula e altri due vicino Kiryat Ata. Tutte vittime dei razzi di Hezbollah che, nonostante l’assedio dell’Idf, i raid a tappeto e la decapitazione della milizia, continua a lanciare droni e missili contro il territorio israeliano.
Iran verso l'attacco ad Israele, Khamenei ha ordinato di prepararsi: la rivelazione di Nyt
La minaccia di Teheran
Sullo sfondo una guerra più ampia che incombe tra Israele e Iran. Lunedì scorso la guida suprema iraniana, l’Ayatollah Ali Khamenei, ha dato ordine al Consiglio di sicurezza di prepararsi ad attaccare Tel Aviv. La decisione, riporta il New York Times, è stata presa dopo aver realizzato la gravità dei danni inferti dall’aviazione israeliana alle infrastrutture energetiche della Repubblica. Netanyahu intanto è concentrato sul Libano. Sa che è arrivato il momento di garantire il ritorno a casa degli sfollati del nord. E l’operazione di terra insieme ai bombardamenti nel sud del Libano, nella Beqaa e al confine con la Siria dovevano essere la svolta per tutto il fronte. Secondo la Difesa e buona parte del governo, Israele avrebbe raggiunto gran parte dei suoi obiettivi. Hezbollah ha un arsenale ormai limitato. Qualcuno vocifera che il nuovo leader, Naim Qassem, avrebbe già approvato il ritiro della milizia a nord del fiume Litani.
Il vantaggio dell’Idf, la pressione della comunità internazionale, l’Iran trafitto dai raid israeliani ed Hezbollah convinto a sganciare il suo fronte da quello di Gaza dovrebbero portare Netanyahu a più miti consigli. E l’arrivo di Hochstein e McGurk serviva a Biden per velocizzare l’intesa. La bozza che circola in questi giorni prevede il ritiro dei miliziani sciiti e il ritorno dell’Idf in Israele, lo schieramento dell’esercito di Beirut nel sud del Libano e il mantenimento di Unifil (colpita da un altro razzo di Hezbollah, questa volta contro una base irlandese). Ma affinché ci sia il suo via libera, lo Stato ebraico vuole che i suoi jet abbiano piena libertà di manovra in caso di violazione degli accordi. E ieri Netanyahu è stato chiaro. Per far cessare le armi conta solo «la determinazione e la capacità di Israele di far rispettare l'accordo e di sventare qualsiasi minaccia alla sua sicurezza proveniente dal Libano».
Le mosse Usa
Biden sta provando di tutto, convinto che dal fronte nord può ripartire il negoziato per mettere ordine a tutta la crisi mediorientale. Secondo il Times of Israel, i funzionari di Washington pensano che non sarà Gaza a sbloccare la situazione in Libano, ma il contrario. E la speranza è che si trovi una base di dialogo anche con Hamas. Il gruppo palestinese ieri ha ribadito che non intende accettare una pausa temporanea della guerra, ma solo un accordo che metta definitivamente fine al conflitto. In questi giorni, si parla con insistenza di una proposta: meno di un mese di tregua, una decina di ostaggi liberati, più aiuti a Gaza e un certo numero di detenuti palestinesi rilasciati dalle carceri israeliane. Egitto, Qatar e Usa, i mediatori di questo difficile negoziato, continuano a lavorare per arrivare a un punto di incontro. Ieri il capo di Stato maggiore israeliano, Herzl Halevi, ha detto che è un “dovere morale” riportare a casa gli ostaggi. I raid continuano su tutta la Striscia. Ma la partita, sia con Hamas che con Hezbollah, dipende anche da Teheran. Ieri, lo Shin Bet e la polizia hanno arrestato altre spie al soldo degli ayatollah. Ma Netanyahu ha ancora una volta messo in guardia la Repubblica islamica: l’obiettivo di Israele, ha detto il premier, è impedire che Teheran abbia armi nucleari, e ora lo Stato ebraico «può raggiungere qualsiasi posto in Iran se ne ha bisogno».