Non te l'aspetti che la serie tv più vista di questo autunno uggioso, quasi un milione e trecentomila spettatori su Sky, sia Hanno ucciso l'Uomo Ragno, la leggendaria storia degli 883
Non c'è rabbia né furore. Non ci sono cortei, pugni chiusi e collettivi, la stagione dell'eskimo è passata da un pezzo, nessuno sogna più la rivoluzione. Il futuro sta cominciando a impallidire e si fa forte il sospetto che ti hanno raccontato una dose abbondante di cazzate. C'è invece il Ticino che sfocia nel Po, il Ponte coperto come cartolina da spedire a se stessi, l'alba degli anni '90, vissuta da una provincia che non si sente tale e si consola specchiandosi nel passato, «con due discoteche e centosei farmacie». La grande occasione è a mezz'ora di distanza, nella metropoli dove ogni cosa può accadere, magari con una fuga la notte prima degli esami, viaggiando in furgoncino verso l'Alcatraz, a due passi dallo scalo Farini. L'illusione è scappare dal posto fisso, perché non è ancora arrivato Checco Zalone a dirti che quella storia di diventare imprenditore di te stesso è la panacea per la disoccupazione. Allora corri coniglio corri e vai sempre dritto con alle spalle Pavia. L'uscita dalla «normalità» è un tiro di dadi, con le «sneakers da teenager e il denim retro chic». Qualcuno, senza sapere come, alla fine ce la fa. «Non me la menare».
Non te l'aspetti che la serie tv più vista di questo autunno uggioso, quasi un milione e trecentomila spettatori su Sky, sia Hanno ucciso l'Uomo Ragno, la leggendaria storia degli 883. È la più vista su Sky degli ultimi otto anni. Cosa c'entrano Max Pezzali e Mauro Repetto con la voglia ideologica di anni '70? Qualcosa non sta funzionando. C'è una maggioranza silenziosa che ancora una volta non si riconosce nell'immaginario di Elio Germano, bravo attore e pessimo intellettuale. No, il confronto non è con il buon Enrico, non è con Berlinguer, ma con questa nostalgia da anni di piombo che vogliono venderti come coscienza collettiva. È il rimpianto del comunismo all'italiana, democratico per necessità storica, da recuperare vent'anni dopo la fine del millennio sempre in chiave antioccidentale. La speranza è di tornare a cantare Contessa di Paolo Pietrangeli, ma non ci sono più campi né officine e la nostalgia del comunismo è un affare per pochi.
La nostalgia 883 è invece un'altra storia. Forse racconta l'ultima volta che non abbiamo avuto paura. È prima del lungo viaggio nel deserto, quando di crisi in crisi saliva sempre più l'ansia diffusa di un universo al macero. È che nel 1991 a nessuno sarebbe mai venuto in mente di costruire muri. Ne era da poco caduto uno e tutti dicevano, soprattutto uno, che la Storia non avrebbe avuto più scossoni, ma ci saremmo annoiati a vederla passare come un piatto fiume tranquillo. Le rapide, invece, non finiscono mai.
Mauro e Max spostano la linea dei ricordi all'ultimo frammento dell'era analogica, gli anni appena scaduti dei «Roy Rogers come jeans». Gli Ottanta hanno consumato tutto l'ottimismo in circolazione e il sospetto per chi alla vigilia di Mani Pulite ha poco più di vent'anni è che ti hanno dato una carta d'imbarco scaduta. Il meglio è alle spalle. «Hanno ucciso l'Uomo Ragno e chi sia stato non si sa».
Gli 883 sono il numero fortunato di due smanettoni che stanno cercando una via d'uscita da un destino segnato. Uno canta e l'altro, inspiegabilmente, balla soltanto. Sembrano due sfigati e in qualche modo ce l'hanno fatta. Tifi per loro per simpatia ipotetica.
Vittorio Macioce