All’Accademia aeronautica di Pozzuoli c’era chi aveva sperimentato un sistema facile facile per truffare il ministero della Difesa. Il giochino - che è andato avanti dal 2016 al 2020 - si consumava tra chi era preposto alle forniture della massa vestiaria dei cadetti: e così un ufficiale e due sottufficiali si impossessavano di divise, giubbotti, camicie e quant’altro scaricando quantitativi maggiori, distribuendone in minore quantità, per poi rivenderli al nero.
Un “affare” da oltre 600 mila euro. Quel giochino è andato avanti fino a quando un’ispezione ai magazzini dell’Accademia ha fatto venire a galla la magagna. Ne è seguita un’indagine della Procura militare di Napoli, al termine della quale i tre - il capitano E.M., il primo maresciallo P.B. e il luogotenente (in congedo) P.F., tutti imputati con l’accusa di peculato militare aggravato e continuato - i primi due sono stati condannati alla pena di tre anni e otto mesi di reclusione e il terzo a tre anni e sei mesi di reclusione.
La sentenza è stata emessa dal collegio presieduto da Filippo Verrone, che ha anche accolto la richiesta di costituzione di parte civile presentata dal ministero della Difesa, rappresentato nelle aule del Tribunale militare di piazza Santa Maria degli Angeli dall’Avvocatura dello Stato. Una sentenza che sottolinea l’impegno delle forze armate e del Tribunale Militare nel garantire il rispetto dei principi di disciplina, lealtà e integrità che sono alla base del servizio militare, la cui violazione mina alla radice l’immagine di istituzioni dello Stato.
Le casse dell'Arma
Ma nelle aule del Tribunale militare partenopeo è in corso un secondo processo su una vicenda molto inquietante: è il caso della sparizione di due milioni di euro dalle casse del Comando Legione Carabinieri Campania. Una vicenda che ha del surreale, e che vede imputato un maresciallo - ora in pensione - anch’egli imputato di peculato militare.
Il caso esplose nel 2021, quando il sottufficiale subentrato al collega andato in quiescenza per limiti d’età si accorse che i conti non quadravano. Le indagini svolte dalla Procura militare retta da Giovanni Barone hanno consentito di accertare che l’imputato - con costanza certosina - sarebbe riuscito, negli anni, a sottrarre piccole somme senza dare nell’occhio, fino a mettere da parte un vero e proprio “tesoretto” personale; l’insospettabile maresciallo riusciva a eludere anche la catena dei controlli da parte degli ufficiali superiori contando proprio sulla propria immagiine di militare attento, scrupoloso e affidabile. Ben 78 gli assegni incassati dall’imputato. Il procedimento è in corso di svolgimento, siamo ancora nella fase della escussione dei testimoni, ma il verdetto dovrebbe arrivare entro fine anno.
Il bilancio
Due casi, due procedimenti che hanno suscitato il clamore delle cronache giudiziarie: ma anche la testimonianza più eloquente del lavoro e dell’impegno di una magistratura della quale si parla ancora poco.
E invece quella militare è una funzione giudiziaria che merita di essere messa in luce. Le statistiche sulla tipologia dei reati più frequenti sono rappresentate dalle truffe, distruzione colposa di materiali militari, violata consegna da parte di militare di guardia o di servizio. Isolati, ma pur sempre presenti, i casi di violenza contro un sottoposto.
Il Tribunale e la Procura militare di Napoli hanno competenza in ordine ai reati militari commessi in ben sei regioni: Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia. L’attuale organico del Tribunale militare di Napoli ha quattro giudici, oltre al Presidente del Tribunale e a un presidente di sezione. Poi c’è un altro dato molto interessante: nonostante i numeri della pianta organica, quella militare è una giustizia che lavora e produce sentenze: i processi militari si risolvono mediamente entro tre anni e quasi sempre senza reati prescritti.
In relazione alla violenza di genere sono nate delle proposte di legge che puntano ad inserire nel codice penale militare reati come molestie sessuali, atti persecutori, violenza sessuale e così via. Ma le proposte restano ancora al palo, e durante un recente incontro con l’Ordine dei giornalisti di Napoli è stato lo stesso procuratore militare, Giovanni Barone, a rimarcare come sia arrivato il momento di colmare questa lacuna adottando il cosiddetto “codice rosso”.