Va incontro alla morte. E lo fa con passo lento, ovviamente inconsapevole di quanto gli sta per accadere. È vestito di bianco, non sembra spaventato ed è accanto agli amici. Sembra maneggiare qualcosa, poi - nella scena finale - fa una torsione del corpo, come se stesse per lanciare un oggetto.
Una manciata di secondi, tra auto e aiuole, nel cuore della movida metropolitana: tanto dura l’ultima curva nella vita di Santo Romano, il calciatore di 19enne ucciso da un colpo di pistola al petto, sabato scorso nella piazza principale di San Sebastiano al Vesuvio.
C’è un video agli atti dell’inchiesta culminata negli arresti del 17enne L.D.M., che basta da solo a raccontare l’assurdità di quanto accaduto pochi giorni fa in piazza Capasso. Al centro della scena si vede Santo Romano, che sta per prendere la decisione peggiore per un ragazzo della sua età. In una prima fase, Santo si allontana dall’auto nella quale viaggia il 17enne con il quale pochi attimi prima ha avuto una discussione.
Poi, decide di fare marcia indietro. Di ritornare sui suoi passi, probabilmente per un ultimo chiarimento. Scelta folle. Compie una decina di metri, si avvicina alla Smart e fa come per scagliare qualcosa. Il resto è storia nota, secondo quanto emerge dalla misura cautelare firmata dal gip Anita Polito. Inchiesta condotta dal pm Ettore La Ragione (della procura dei minori) spuntano frame e testimonianze della notte vesuviana.
Il precedente
C’è la testimonianza di un ragazzo che introduce un nuovo elemento di accusa a carico del 17enne. Intorno alle 23 di venerdì primo novembre, quindi quasi un’ora e mezza prima del delitto di Santo Romano, il 17enne aveva ingaggiato una prima lite con un coetaneo. E aveva estratto la pistola che aveva alla vita, puntandola alla gola del proprio rivale. Una storia che non c’entra nulla con quanto avviene poco dopo, quaranta minuti dopo la mezzanotte di sabato due novembre. Un prequel che - se confermato - evidenzia il carattere litigioso e aggressivo del 17enne.
Cercava rogne e le ha trovate ammazzando un ragazzo. Ha spiegato un teste: «Ho visto un capanello di ragazzi in piazza, ho visto un ragazzo forse minorenne che estraeva la pistola puntandola sotto il mento di un altro ragazzo, con il quale stava discutendo. Al termine della discussione, ha riposto la pistola nei pantaloni e si è fermato davanti al Municipio». Quel ragazzo armato era il 17enne L.D.G, che al gip Polito spiega: «È vero che ho litigato con un altro ragazzo, prima di uccidere Santo Romano, ma non ho mai estratto la pistola». Fatto sta che dopo un’ora e mezza si materializza la storia della scarpa sporcata. Un pestone, una pedata all’altezza del tallone.
Scarpe griffate
Spiega il 17enne in cella per omicidio: «Avevo le scarpe griffate Versace, le ho pagate 500 euro, me le hanno sporcate e me la sono presa». Inizia così, 40 minuti dopo la mezzanotte la lite che culminerà nel delitto di Santo. Quando il 19enne si avvicina alla Smart guidata da Luigi, sembra maneggiare qualcosa. Probabilmente è stato insultato o minacciato. Di certo non sa che quel ragazzino originario di Barra è armato.
Non sa che poco prima non ha esitato a piazzare la canna della pistola alla gola di un coetaneo. Non sa che sta innescando una sequenza irrimediabile. Dice una ragazza al pm Ettore La Ragione: «Ho visto Santo avvicinarsi alla Smart (accanto a lui aveva un amico), ha urlato al 17enne di scendere dall’auto, ha poi alzato la mano come se volesse lanciare qualcosa. Poi ho visto quello nell’auto esplodere due colpi di pistola, scarrellando prima l’arma». Poi la scena più drammatica: «Ho visto Santo alzare la maglietta e mostrare il buco che aveva al petto...».
I funerali
Ieri, la chiesa Santa Maria dalle cinque piaghe a Casoria era gremita. Tantissimi ragazzi, uno striscione per il portierone di 19 anni, per il ragazzo generoso, per l’atleta e lavoratore ucciso. È toccato al vescovo vicario padre Franco Beneduce, invocare pace e rispetto delle regole, rivolgendosi ai tanti ragazzi, fino a chiedere «al Signore di paralizzare le mani di chi vende armi». Inchiesta allo snodo finale, difeso dal penalista Luca Raviele, ora il minorenne potrà fare ricorso al Riesame.
Anche dinanzi al gip Polito, ha spiegato di «aver sparato alla cieca», perché «aggredito da ragazzi più grandi». Una vicenda velenosa, come emerge anche da un altro particolare. Ieri pomeriggio, l’avvocato Raviele è stato costretto a sporgere denuncia, dopo aver ricevuto minacce da qualcuno che - ripetutamente - gli ha chiesto di rinunciare alla difesa del babykiller di Barra.