Rivendicazioni e sfoghi, ma pure qualche frecciatina. Davanti alle telecamere di Rai 1, Giorgia Meloni sfodera il pacchetto completo. L’inevitabile soddisfazione per il successo ligure di lunedì («Da quando c'è questo governo noi abbiamo votato in dodici tra Regioni e Province autonome, è finita 11 a 1 per il centrodestra») e la convinzione di poter affrontare referendum «su tutto», si mischiano quindi con una serie di interventi in cui la premier mette nel mirino giudici, funzionari infedeli, sindacati, opposizioni e un «irrispettoso» John Elkann. Il pacchetto completo appunto.
I GIUDICI
Per i primi il riferimento è al ricorso alla Corte di giustizia Ue mosso dalla sezione immigrazione del Tribunale di Bologna contro il Dl Paesi Sicuri. Un’istanza considerata da Meloni «più vicina a un volantino propagandistico che a un atto da tribunale». Di provocazione in provocazione la premier sostiene che, in base al ragionamento fatto dalle toghe bolognesi, «anche l'Italia potrebbe non essere un Paese sicuro» e «la faccio io tra un po' l'istanza perché anche in Italia abbiamo qualche problema in qualche territorio circoscritto». Da Bruno Vespa in pratica Meloni continua quindi a difendere il Memorandum con l’Albania, nella convinzione che «la ragione per cui si sta facendo qualsiasi cosa possibile per bloccarlo, è che tutti capiscono che è la chiave di volta per bloccare le migrazioni irregolari». «Per alcuni l'obiettivo è impedire di fermare l'immigrazione irregolare» rincara, spiegando come l’iniziativa le sia costata anche le «prime minacce di morte».
Nei tre quarti d’ora dedicati a Meloni prima a Cinque minuti e poi a Porta a Porta, la presidente del Consiglio passa da un nuovo invito al Partito democratico affinché voti Raffaele Fitto come vicepresidente esecutivo della Commissione europea alla certezza che i risultati delle elezioni Usa non cambieranno i rapporti con l’Italia, fino al caso dossieraggi. Oggi il problema «non è l’hackeraggio» ma sono quei «funzionari italiani che usano il loro potere per fare altro con quelle banche dati» spiega la premier. Contro di loro e contro chi dovrebbe vigilare arriveranno nuove iniziative è il senso del ragionamento meloniano che culmina con un imperativo: «Bisogna mettere fine a questo schifo». Si continuano a vedere, fa l'elenco Meloni, «casi di ogni genere», dal «finanziere distaccato alla Direzione Nazionale Antimafia che faceva decine di migliaia di accessi, che dossierava tutti i politici di centrodestra che si pensava potessero andare al governo», cioè Pasquale Striano, «poi c'è stato il caso del dipendente della banca che entrava nei conti correnti, tutti quelli della mia famiglia ovviamente». Una situazione «inaccettabile».
MANOVRA
Un pragmatismo quasi rabbioso che la premier agita sia quando l’oggetto della contesa diventa il diniego di Elkann a farsi audire dal Parlamento, sia quando c’è da rimproverare i sindacati. La loro decisione di scendere in piazza il prossimo 29 novembre per protestare contro la Manovra sarebbe frutto di un «piccolissimo pregiudizio», come dimostrerebbe la convocazione della mobilitazione antecedente alla pubblicazione del testo della Legge di bilancio. E Meloni prosegue respingendo le accuse di avere imposto «tagli alla sanità». Le risorse aumentano «di 22 miliardi» rispetto al 2019 ribadisce come va facendo da giorni parlando della spesa pro capite. Stavolta però lo fa con la calcolatrice del telefonino in bella vista, nel tentativo di far quadrare i conti. Questi però, telecamere o meno, stavolta non tornano. Lo ammette lei stessa prima di archiviare l’imbarazzo, rimettere mano alla calcolatrice e salutare Rai 1. «Passiamo 1919 euro a cittadino» che si spendevano «nel 2019 ai «2317 del 2025» è infatti l’epilogo del siparietto con Vespa, della trasmissione ma non, ci si può giurare, delle polemiche.