La cancelliera: "Trump affascinato dagli autocrati. Sotto dittatura la vita sempre sul filo"
È netto il «nein» che il cancelliere Olaf Scholz oppone all'adesione dell'Ucraina alla Nato, almeno finché durerà la guerra mossa dalla Russia. Per Berlino, un rapido ingresso dell'ex repubblica sovietica rischierebbe di trascinare l'Alleanza atlantica nel conflitto, innescando la provocazione attesa da Mosca. Questa prudenza non è nuova. Al vertice Nato di Bucarest nel 2008, l'allora cancelliera Angela Merkel impedì il riconoscimento dello status di Paesi candidati all'adesione a Ucraina e Georgia, già minacciate dalla Russia. Sedici anni dopo, l'ex presidente della Cdu espone le ragioni del gran rifiuto nelle sue memorie dal titolo Freiheit, ossia libertà, che in Germania verranno pubblicate il 26 novembre. «Capivo il desiderio dei Paesi dell'Europa centrale e orientale di divenire membri della Nato al più presto possibile», scrive Merkel secondo le anticipazioni uscite su Die Zeit. Tuttavia, come evidenzia l'ex cancelliera, l'ingresso nell'Alleanza atlantica di uno Stato non deve aumentare soltanto la sua sicurezza, «ma anche quella della Nato». Allora come oggi, l'adesione dell'Ucraina avrebbe potuto provocare una reazione militare russa.
Inoltre, «a quel tempo, solo una minoranza della popolazione ucraina» era favorevole all'ingresso nella Nato. Per l'ex cancelliera, sarebbe poi stata «un'illusione» presumere che lo status di candidati all'adesione all'Alleanza atlantica per Ucraina e Georgia avrebbe avuto un «effetto tanto deterrente» da far accettare gli sviluppi «in maniera passiva» al presidente russo, Vladimir Putin. È la Realpolitik di Merkel, salda con fedeltà nibelungica sulle sue posizioni.
Nata nella Ddr 70 anni fa, l'ex cancelliera vive in quella psicogeografia che fa della Germania un impero di mezzo tra Ovest e Est. A più di due secoli dalla dissoluzione del Sacro Romano Impero, l'aquila tedesca rimane bicipite e guarda in direzioni opposte, tra euroatlantismo e spinta verso Oriente. Merkel e i suoi sedici anni di governo sono esempio di questa contraddizione. Da un lato, l'ostinato credo nel mito del «Wandel durch Handel», il cambiamento con il commercio come capacità tedesca di orientare la Russia e gli altri regimi autocratici verso la democrazia attraverso gli scambi.
Dall'altro, la riluttante egemonia in Europa e il tentativo di assumere la guida dell'Occidente durante la prima amministrazione Trump, che segnò il nadir dei rapporti tra Germania e Usa. All'ex e prossimo titolare della Casa Bianca, Merkel dedica parte di Freiheit, descrivendolo affascinato dai «politici con tratti autocratici e dittatoriali» come Putin, un emotivo e aggressivo «non interessato alla soluzione dei problemi».
Mosso anche dal desiderio di compiacere l'interlocutore, l'esponente del Partito repubblicano «vedeva tutto dal punto di vista di un imprenditore immobiliare», sostenitore di un sistema internazionale in cui il successo di uno Stato è «il fallimento dell'altro».
Secondo Merkel, Trump «non credeva che la cooperazione potesse aumentare la prosperità di tutti». Frasi profetiche ora che alla Casa Bianca sta per tornare chi vuole l'America «über alles».