Messaggi e grafiche di supporto per Elena Cecchettin e silenzio per la 14enne stuprata a Bolzano e per Sara, uccisa a Costa Volpino: a cosa servono queste femministe?
In Italia esistono violenze e omicidi di serie A e di serie B, soprattutto quando riguardano l'universo femminile. A dimostrarlo non sono i "mostri" del patriarcato dipinti dalle veterofemministe ma sono proprio i collettivi come Non una di meno, che davanti a quanto accaduto questo weekend hanno ben pensato di tacere, di mantenere il silenzio. Anzi, peggio, perché hanno deliberatamente ignorato un omicidio e uno stupro, solo perché questi non sono utili alla propria narrazione. Partendo dal principio, la scorsa settimana si è tenuta l'udienza per il processo Cecchettin che vede alla sbarra Filippo Turetta, reo confesso dell'omicidio della ragazza. Sguardo basso, l'assassino ha confermato la premeditazione del suo gesto, sostenendo che i coltelli e lo scotch erano in macchina perché avrebbe voluto prima sequestrare e poi uccidere Giulia, togliendosi poi la vita.
Non c'era Elena Cecchettin in aula, c'era solo il padre. "Non sarò presente in aula. Non per disinteresse, ma per prendermi cura di me stessa. Sono più di undici mesi che continuo ad avere incubi, undici mesi che il mio sonno è inesistente o irrequieto", si legge in un passaggio del messaggio lasciato dalla sorella della vittima sui social, per informare che non sarebbe stata in aula. Nessuno può permettersi di giudicare la reazione di un parente davanti a un fatto di sangue di così grave, serve solo il silenzio e la solidarietà. Ed è arrivata da Non una di meno, che ha annunciato che durante la plenaria di sabato "è uscita forte la volontà di esprimere tutta la nostra sorellanza per Elena Cecchettin". Sia per il dolore sia per "il trauma del processo e della narrazione mediatica".
Per lei, dicono, "continueremo nella nostra lotta contro il patriarcato e la violenza di genere e sui generi, non resteremo a guardare mentre un'altra sorella viene oggettificata, silenziata, disumanizzata, vittimizzata, stuprata o uccisa". E concludono: "Ci stringiamo in un abbraccio collettivo ed esprimiamo la nostra solidarietà e tutta la nostra vicinanza ad Elena Cecchettin e alla sua famiglia in questo difficile momento. Saremo ovunque per dirle ancora una volta: sorella non sei sola". Bene. Ma perché da Non una di meno non è arrivato lo stesso messaggio per Sara, brutalmente uccisa a Costa Volpino da un coetaneo con diversi fendenti inferti con delle forbici. Sara era in casa, stava dormendo. Sara ha una madre sconvolta e un padre disperato. Eppure, Sara non merita le attenzioni di Non una di meno.
Il suo assassino è un 19enne, suo coetaneo di origini indiane, che l'ha uccisa probabilmente perché da lei rifiutato. Eppure, per Sara non ci sono cortei e non ci sono manifestazioni, sembra si voglia far calare il silenzio. E che dire della 14enne violentata in un cespuglio a Bolzano da un immigrato del Pakistan di 40 anni, mentre lei aspettava l'autobus. Perché per loro non c'è la sorellanza, perché per loro non c'è il "trauma della narrazione mediatica". Eppure, per Sara, ora si sta dicendo che il suo assassino ha problemi ai nervi ed è in cura, quasi come a volerlo in qualche modo sollevare dalle sue responsabilità. Dov'è la solidarietà verso di loro e verso tutte le altre donne uccise e stuprate? C'è questa tendenza di ignorarle da parte dei collettivi femministi, come se il loro sangue valesse meno. Come se la scarsa mediaticità non fosse utile.
Se questi sono i gruppi femministi di cui dispone l'Italia, più preoccupati di badare a come si declinano le parole piuttosto che a denunciare omicidi e violenze sempre, e non solo quando possono essere politicizzati, allora è lecito domandarsi a cosa servano.