Il drone (come quelli usati da Putin) alza lo scontro. E Israele è pronto
Il linguaggio della guerra è molto più esplicito di quello della politica: ieri ha parlato in arabo e in farsi senza rischi di fraintendimenti, in coro. E impone di cambiare strada. La casa del primo ministro di Israele è stata presa di mira, anzi bombardata dagli Hezbollah con un drone fornito dall'Iran, il loro sponsor.
Durante le prime ore del giorno tutta la popolazione del Nord di Israele, specie lungo la costa e in Galilea, era stata ancora una volta costretta a rifugiarsi nei bunker per ore sotto missili e razzi. Un guidatore è stato ucciso, due i feriti. Con questo gli Hezbollah hanno voluto segnalare una ripresa dopo l'eliminazione di Nasrallah, e, anzi, di voler alzare il livello di scontro. Ma come il 7 ottobre il fittissimo bombardamento di Hamas aveva voluto coprire il vero evento, quello dell'ingresso dei terroristi in Israele, stavolta i botti sono stati la musica di accompagnamento di quel ronzio con cui un drone teleguidato era stato spedito contro la casa di vacanza di Netanyahu a Cesarea, che ha colpito. Il primo ministro solo per caso non vi si trovava, spesso ama passare lo shabbat con la famiglia nella casa al mare. Il drone è iraniano, uno Shahed come quelli che Putin usa contro gli ucraini. La Russia ne ha già comprate migliaia dai suoi amici ayatollah. Adesso insieme producono missili. Gli americani hanno studiato un sistema di difesa da questi piccoli pericolosissimi velivoli suicidi, carichi di esplosivo, che possono volare migliaia di chilometri anche senza essere intercettati tanto volano basso: i soldati americani in Medioriente hanno subito 165 attacchi di droni di questo tipo, con tre morti e 80 feriti. I droni sono teleguidati, non volano a caso: gli inserisci l'indirizzo di arrivo, per alcuni è possibile teleguidare lungo la strada.
Dunque: non solo Hezbollah ha voluto riprendere la guerra oltre i quasi 5mila missili dal 7 ottobre a fianco di Hamas, ma ha voluto rilanciare. Quasi con certezza si può pensare che un attacco che chiede una risposta decisa e dura come il tentativo di uccidere Netanyahu, non sia stato deciso senza l'ordine dell'Iran, l'architetto del progetto di distruggere Israele, il padrone delle chiavi di tutti i suoi proxy. È simbolico che sia avvenuto proprio il giorno dopo l'eliminazione di Sinwar e dopo qualche settimana dall'uccisione di Nasrallah per indicare una perversa simmetria fra la propria potenza, Netanyahu e gli Usa.
È tipicamente mediorientale cercare di intimidire con una mossa terrificante, suggerire al nemico che verrà eliminato se non si arrende. Qui, poiché l'Iran sa che Israele prepara una risposta ai suoi 200 missili, c'è anche una provocazione sprezzante. Khamenei, mentre si ripara in un bunker, sa bene che Netanyahu sarà difficilmente convinto a tirarsi indietro, e che anzi sta adesso decidendo quale sarà la risposta, con determinazione e anche con maggiore legittimazione. L'Iran, gli Hezbollah, i mozziconi di Hamas dopo Sinwar, contano sulla folle acquiescenza americana ed europea che chiede a Israele di riporre le armi adesso.
Mentre può e deve necessariamente reagire per concludere l'aggressione dell'asse del male sempre più imbizzarrito e anche impaurito. Contano sulla minaccia di un embargo americano e europeo alle armi di cui i libri di storia parleranno, se ci sarà, come della mossa di un nuovo Neville Chamberlain.