Joe Biden ha fatto del suo meglio ieri per mostrare al Paese la faccia del «perdente leale» che riconosce il risultato delle urne, si congratula con l’avversario per la vittoria, promette una transizione pacifica del potere e impegna i vari ministeri alla collaborazione con la squadra di Trump. Ha anche ripetuto una frase che gli è cara: «Non puoi amare il tuo Paese solo quando vinci, non puoi amare il tuo vicino solo quando siete d’accordo». Nel Giardino delle Rose, ha interpretato una scena che già nel 2016 gli toccò di interpretare, allora come vice di Obama, quando l’amministrazione democratica uscente dovette riconoscere la vittoria di Trump su Hillary Clinton. E con la stessa eleganza che allora espresse Obama, Biden ha già invitato Trump a fargli visita alla Casa Bianca, e ha promesso una «transizione pacifica e ordinata».
Tutti gesti, frasi e affermazioni con cui Biden ha inteso «raffreddare i toni», e anche sottolineare la differenza con il comportamento di Donald Trump, quando lo sconfitto fu lui nel 2020 e ignorò tutti questi atti tradizionali a favore di un tentativo di cambiare il risultato delle elezioni, che si concluse con l’assalto al Campidoglio.
Biden avrebbe potuto battere Trump? Cosa ci dicono le analisi del voto e i confronti con il 2020
I RISULTATI
Biden ha difeso la propria presidenza, ricordando che lascia un’economia che è al momento «la più forte del mondo», mentre i benefici delle sue leggi su infrastrutture e energie alternative stanno cominciando a manifestarsi, «e i loro frutti si vedranno pienamente nei prossimi dieci anni» (un modo per dire che se Trump se ne vanterà, in realtà il merito è suo). Ha anche spezzato una lancia a favore di Kamala Harris, la sua vice, - sconfitta con 68 milioni di voti contro i 72 milioni e 700 mila circa di Trump (226 voti elettorali contro 295) - e di lei ha ammirato «la campagna ispiratrice» e «il carattere e la spina dorsale ritta».
IL BILANCIO DEL PARTITO
Quel che è totalmente mancato nell’intervento del presidente è stato un tentativo di spiegare la sconfitta. E mentre il partito si interroga freneticamente e in modo discreto sulla sconfitta, emerge una corrente di pensiero che dà ragione a Barack Obama, il quale nel 2019, in privato, cercò di dissuadere Biden dal candidarsi. Per alcuni, allora Obama sembrò sleale verso il suo vice, ma in realtà aveva dubbi già allora sulla capacità di Joe di affrontare una campagna elettorale impegnativa a causa dell’età, e aveva insistito che era necessario un rinnovamento del partito.
C’erano già molti volti nuovi e promettenti, che sono stati bloccati sia nel 2020, dalla presenza dominante di Biden, sia quest’anno dopo che Biden si è ritirato a cento giorni dal voto e il partito non ha potuto fare altro che accettare velocemente la sua vice come candidata alla presidenza al suo posto. Si stanno conducendo analisi post-mortem sulla campagna, e qualcuno osa perfino dar ragione a Trump, che sostiene che la Casa Bianca abbia nascosto quanto Biden fosse invecchiato e affaticato. Si stanno riesaminando le sue performance, soprattutto dopo il discorso sullo Stato dell’Unione dello scorso febbraio, in cui aveva mostrato un’immagine di grande vitalità e prontezza. Ci si chiede ora come Biden sia potuto passare da quel presidente anziano, ma lucido e reattivo, a una pallida ombra di sé nel dibattito di giugno con Trump.
Il ruolo del presidente uscente sarà dunque argomento di continua discussione, ma la sconfitta è stata più vasta che non la sola sconfitta presidenziale, e il dibattito si sta allargando a cercare di capire cosa abbia sbagliato l’intero partito, che sembra destinato a perdere sia il Senato come previsto, e anche la Camera, dove invece sperava di vincere. Un grido di allarme l’ha lanciato il senatore del Vermont Bernie Sanders, della corrente progressista, che ha criticato l’enfasi dei democratici sulle politiche di identità a discapito dei problemi economici della classe lavoratrice: «Non è solo Kamala - ha affermato -. E’ un partito democratico che è sempre più diventato un partito delle politiche identitarie, dimenticando che la maggior parte degli americani appartiene alla classe lavoratrice». Nel 2020, Joe Biden aveva ottenuto, infatti, 13 milioni di voti in più rispetto a quelli raccolti da Kamala quest’anno. Ma la sua campagna – oltre a voler riconquistare l’«anima democratica del Paese» dopo il caos degli anni trumpiani – si basava sul rilancio della classe media, il rafforzamento dei sindacati e la crescita economica.