Incassa il triplo applauso dei gruppi parlamentari, convocati a Montecitorio per fare il punto sulle prossime mosse. Silenzia la minoranza interna del Pd, che si prepara a riorganizzarsi alla convention di fine mese a Roma. E in attesa delle assise dei Cinquestelle questo fine settimana, predica «calma e gesso»: dopo, se tutto andrà come al Nazareno si augurano, il progetto per «l’alternativa» potrà finalmente decollare. «Siamo sulla strada giusta», arringa i suoi Elly Schlein, nel day after del due a zero in Emilia Romagna e Umbria: «Questa vittoria ci consegna una grande responsabilità». Ma per proseguire nella costruzione del campo largo, anzi di una coalizione progressista, avverte la segretaria dem, «servono umiltà e unità. La testardaggine unitaria paga».
Regionali, cosa può succedere per le sfide 2025: i nodi Veneto e Campania
I CONTATTI
Per Schlein in Transatlantico è la giornata delle pacche sulle spalle. In mattinata sente Giuseppe Conte, con cui la sera della vittoria non c’era stato modo di festeggiare (lei a Perugia a brindare col duo rosso-verde di Avs in un’osteria del centro, lui rimasto a Roma a preparare l’assemblea del 23 e 24 al Palazzo dei congressi). Poi la segretaria si apparta con Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli sui divanetti del corridoio fumatori della Camera, per una lunga chiacchierata. Tra una sigaretta e l’altra si discute anche del futuro della “foto di Terni”, lo scatto che ritraeva i protagonisti del centrosinistra con la neo-governatrice umbra Stefania Proietti (ma senza Renzi e Calenda). «È da quel perimetro che bisogna ripartire», insistono da Avs: «Non è un problema di veti, ma di programmi. E i nostri – chiude il verde Bonelli – non sono compatibili con quelli di chi dice sì al nucleare e al Ponte sullo Stretto, come Azione e Italia viva».
Insomma: altro che spinta alle alleanze dalla doppia vittoria. Per Schlein la matassa è tutta da sbrogliare. Ma lei non se ne cura, per ora, limitandosi a riconoscere che «non abbiamo pretese di autosufficienza» perché i voti del Pd da soli non bastano. Il mantra però resta «calma e gesso»: sono altri i nodi più urgenti da sciogliere. Il primo: che succede nei Cinquestelle? Ieri Conte – sbeffeggiato da Beppe Grillo sul suo stato di Whatsapp per il magro bottino delle regionali, col fondatore che in sostanza definisce l’avvocato l’«ultimo giapponese» del Movimento – ha fatto capire che se la linea che uscirà dalle assise stellate non sarà la sua (ridimensionamento di Grillo, ancoraggio a sinistra ma senza schiacciarsi sul Pd), lui è pronto a fare i bagagli: «Se il percorso fatto fin qui sarà messo in discussione ne trarrò le conclusioni», avvisa. Ma nel Movimento non è solo l’ex comico a invocare una retromarcia sul campo largo coi dem. «La mancanza di un'identità forte sta facendo disperdere il nostro vento nelle vele del Pd», sferza la numero due di Conte Chiara Appendino: «Ci stanno fagocitando, siamo diventati il socio minoritario. Dobbiamo ritrovare noi stessi».
I NODI
L’altro nodo da sciogliere per la timoniera del Nazareno riguarda le Regionali 2025 in Campania, Toscana, Puglia, Marche e Veneto. Schlein sogna un’altra spallata a Giorgia Meloni, più dolorosa di quella appena assestata. Ma i piani della segretaria sono messi a rischio da un lato dalla riottosità degli alleati (in Toscana fa discutere un sondaggio commissionato dalla Cgil regionale tra i propri iscritti, secondo cui il centrosinistra perderebbe il 19% se si alleasse con Renzi e Calenda). Dall’altro, dalle mosse di Enzo De Luca: il governatore “sceriffo” di Salerno, dopo il via libera incassato dal suo consiglio regionale al terzo mandato, non ha alcuna intenzione di farsi da parte, come gli chiede il Nazareno. E ora sarebbe tentato di forzare la mano: dimettersi per tornare alle urne entro 90 giorni. Così da bruciare sul tempo un eventuale ricorso del governo sulla norma che gli consente di correre di nuovo. E da spiazzare il Pd, che si troverebbe o a dover scegliere un candidato alternativo in fretta e furia, oppure a scendere a patti con il «cacicco» De Luca.
E non semplifica il quadro Renzi, che fa sapere a Schlein che alle prossime regionali Iv «starà al tavolo con il centrosinistra. E in Campania – profetizza – faranno a botte per averci». Peccato che stellati e rosso-verdi da quell’orecchio proprio non ci vogliano sentire. «Renzi non serve», ripetono: «Vinciamo solo se mettiamo in campo una proposta credibile». L’ex premier però sventola i numeri e tira dritto: «Noi non mettiamo veti, chi ha provato a buttarci fuori ha perso i voti, chiamatela sfiga, karma...». Ce l’ha con Conte, Renzi. Alle regionali, insiste, «poteva essere un 3 a 0 se qualcuno, in Liguria, non avesse sbagliato un rigore e poi fatto autogol. Non diciamo il nome, diciamo il leader del M5S». Dura la vita da federatrice.