Nel Pd, subito dopo la sconfitta in Liguria, qualche dirigente - area riformista - ha cominciato ad ammettere con ammirevole e spietata sincerità: «Forse abbiamo cominciato a perdere quelle elezioni dal momento in cui, con Toti agli arresti domiciliari, abbiamo organizzato la manifestazione di tutto il centrosinistra a Genova, leader e militanti, per inchiodarlo nella detenzione e chiedere ai pm di buttare la chiave». È sulla base di questo ragionamento - ovvero: il giustizialismo porta male nelle urne, e cavalcarlo non conviene - che, in queste ore, di fronte alla vicenda della presidente regionale umbra, Donatella Tesei, ricandidata nella consultazione del 17 e 18 novembre, Pd, M5S e Avs non si lanciano più di tanto in grida scandalistiche o forcaiole. Almeno a livello nazionale.
Eppure, potrebbero a modo loro sfruttare il caso. Che è questo: siccome, come dicono i giudici, «il fatto non è più previsto dalla legge come reato, in seguito all’abrogazione del reato di abuso d’ufficio», il gip di Perugia ha archiviato su richiesta dalla procura, l’indagine che vedeva coinvolte Tesei e l'assessore regionale alla programmazione europea al bilancio e al turismo, Paola Agabiti. L’inchiesta riguarda l’utilizzo dei fondi europei per lo sviluppo rurale, ma niente: non c’è più. Senza la scottatura grave in Liguria, ci sarebbe stato da immaginarsi piazze indignate e campagna elettorale infuocata contro la destra che si fa le leggi, abrogando i reati, per passarla liscia.
Il giustizialismo però, per ora, viene lasciato in un angolo dal Nazareno. Perché il solo dubbio che questo tipo di martellamento propagandistico possa togliere qualche consenso - in una partita elettorale che si gioca sul filo e i sondaggi danno un testa a testa tra Tesei e Stefania Proietti con il vantaggio di un punto alla candidata del centrosinistra con dentro tutti da M5S a Italia Viva costretta a occultarsi nella lista civica - sta spingendo il fronte Schlein a non esagerare nell’aggressività etico-politica. «Tesei deve spiegare», si limitano a dire contiani e rosso-verdi.
A livello regionale però si cerca di sfruttare il caso. Proietti: «Lascia molto l’amaro in bocca questa decisione e l’insieme di questa vicenda», è il suo commento. E incalza: «Si tratta per la giunta Tesei questa vicenda dell’uso dei fondi agricoli anche di una questione di conflitto d’interessi e rappresenta una situazione in cui la buona politica avrebbe evitato di trovarsi».
Rincara la dose il segretario regionale Tommaso Bori, riferendosi alla presenza in questa inchiesta dell’assessore Agabiti: «È un fatto grave. Che svela l’esistenza di un sistema consolidato che si è servito delle istituzioni per finanziare aziende di famiglia». Ma Tesei contrattacca: «Assisto alla consueta attività di strumentalizzazione e mistificazione, con argomenti di ignobile livello, amplificata dalla vicinanza della scadenza elettorale».
Intanto ieri al fianco della governatrice uscente e forse rientrante era in Umbria, ad Assisi, città dove è sindaca Proietti, Giancarlo Giorgetti. E tutti i ministri in queste due settimane sfileranno in Umbria. Fino al palco unitario dei quattro leader - Meloni la descrivono «ottimista» sull’esito voto, ma lo è anche Schlein: «La spunteremo noi, anche se vedo un via vai di componenti del governo che non fanno che sparare sull’Umbria promesse da vecchia politica anzi vecchissima» - e dunque Giorgia, Tajani, Salvini e Lupi si preparano a esporre il proprio «presepe», così lo chiamano auto-ironicamente, a Perugia.
Così come Tesei, anche Proietti non terrà a distanza i leader - Schlein li vuole tutti in Umbria - ma è sul proprio profilo civico che si fondano le speranze di vittoria della candidata del campo largo. Che qui ancora esiste: sia pure disseminato di buche visto che i renziani protestano («Il centrosinistra ci vuole nascondere, speriamo bene», dice Maria Elena Boschi) e che Conte sta cercando di evitare il palco comune in chiusura di campagna elettorale, forse memore di quanto portò male la famosa foto di Narni con Zingaretti alle regionali umbre del 2019. Ma ogni elezione fa storia a sé.
Stavolta «la partita è aperta e Stefania se la sta giocando molto bene. Può vincerla», osserva il deputato Walter Verini, democratico umbro di peso, moderato e sapiente, amico della candidata. Che non è affatto una big nazionale con scarse aderenze sul territorio, come è stato Andrea Orlando in Liguria, ma è una sindaca civica, legata al mando cattolico e potenzialmente trasversale. Ciò rende la partita umbra, donna contro donna, piuttosto accattivante. E verrebbe da definire questa piccola regione l’Ohio d’Italia perché qui si gioca buona parte della partita nazionale di queste tornate d’autunno.
IL FANTASISTA
Il punto debole del centrosinistra si chiama M5S. Gli ultimi sondaggi lo danno al 4 per cento. Ancora meno che in Liguria. Il punto forte è che Tesei, come conferma un sondaggio Swg, è molto criticata dai cittadini sulla sanità e sui trasporti. Il suo quindi sarebbe un bis da conquistare voto su voto. Partendo da un dato che la fa ben sperare: in Umbria alle europee i partiti di centrosinistra hanno raccolto 183 mila voti; le forze politiche del centrodestra ne hanno capitalizzato 187 mila.
E poi c’è Stefano Bandecchi, il sindaco di Terni, non candidato in proprio come in Liguria ma con una sua lista nel centrodestra. Mira ad avere il 3 per cento, cifra piccola ed enorme. Significherebbe 15mila voti. Però Bandecchi alza il prezzo rivolto alla coalizione meloniana, quasi minacciando di passare dall’altra parte perché non si sente valorizzato quanto vorrebbe: «Ricordo che sono uomo del centrodestra e devono riflettere con attenzione perché a me di essere trattato come uno scemo mi fa un po’ arrabbiare». In verità usa termini molto meno edulcorati, ma la sostanza è questa. «Con il Pd starei tranquillamente alleato», minaccia sentendosi un ex democristiano e «il Pd è nato da una costola della Dc».
Chiede riconoscimento Bandecchi, vuole essere leader tra i leader sul palco della vittoria, se ci sarà, e non essere sottovalutato e nascosto come in Liguria. Aspetta una telefonata di Meloni. Non gli basta sentire dai maggiorenti del centrodestra che «Bandecchi sta in squadra e rema dalla nostra stessa parte». Vuole di più, forse anche in termini di distribuzione del potere in caso di vittoria, perché sa di essere il fantasista che può decidere la sfida.