Non so bene perché, ma sono giorni che penso insistentemente a Franklin Delano Roosevelt, 32º presidente degli Stati Uniti, e a Winston Churchill, primo ministro e figura chiave della politica del Regno Unito. Il primo legò il suo nome a un programma di riforme economiche e sociali, conosciuto come New Deal, grazie al quale gli Stati Uniti riuscirono a superare la Grande Depressione degli Anni Trenta. Il secondo è stato uno tra i primi ad invocare, a modo suo, la creazione degli "Stati Uniti d'Europa". Fu un conservatore illuminato fautore del Regno Unito come potenza globale, ma dopo la Seconda Guerra Mondiale sembrò convincersi che solo un'Europa unita potesse garantire la pace.
Mi vengono probabilmente in mente, alla vigilia dell'election day americano tra Kamala Harris e Donald Trump, perché queste due figure espressero movimenti di pensiero nelle loro società e grandi progetti riformisti che oggi non si ritrovano nei due concorrenti per la Casa Bianca. Non si avvertono né la forza del fenomeno della riscossa inglese né quella del New Deal americano. Soprattutto entrambi sembrano non esprimere quella passione che fece la storia. Oggi c'è abbastanza poco di trascinante di qua e di là, al massimo arriva il catastrofismo con la sua declinazione ambientalista che travolge tutto e porta a predicare di cambiare il mondo in un giorno. Tutti sanno perfettamente che quando si dice così la gente fa finta di crederci perché è oppio, ma poi scopre che manca il pensiero forte. Che è il catalizzatore da cui dipende la capacità di cambiare, passo dopo passo, senza morti e feriti e accettando di vivere la transizione come partecipazione. Se in una competizione elettorale, come quella americana che ha gli occhi del mondo puntati addosso, viene meno la passione, al voto vanno solo i fanatici. Di conseguenza, sia Harris che Trump puntano a mobilitare le grandi categorie che potenzialmente accendono le scintille della passione possibile come quelle che riguardano il voto delle donne e il voto degli anti-immigrati. Facendo i conti con una società multietnica, dove prima tutti si sentivano rappresentati e ora sempre più si vivono come minoranza, Harris e Trump si muovono entrambi per semplificazioni e grandi categorie.
In questo modo sfuggono al dramma della società contemporanea che richiede il grande politico che sa fare sintesi e tiene dentro tutto. Come seppero fare, su scale territoriali e contesti storici differenti, uomini del calibro di De Gasperi e, alla sua maniera, anche Togliatti. De Gasperi fece politica e governò pensando sempre a tutto il popolo. Togliatti ripeteva che rappresentava l'Emilia rossa, ma che non sarebbe mai andato contro i ceti medi.
Oggi Trump e Harris, chiunque vincerà, sono chiamati a misurarsi con la rivoluzione planetaria avendo consapevolezza che il peso dell'America di oggi non è più quello di ieri.
Le sensazioni che trasmettono al mondo sono le seguenti. Trump era e resta fuori dalle regole, anche se piace a pezzi estesi della grande finanza e dei ceti più popolari, ma si teme che accentui l'isolazionismo americano. Harris, nonostante la ribalta conquistata a sorpresa che ha subito mobilitato capitali e comunità, viene descritta come una continuatrice dell'esistente, più o meno grigia a seconda di chi parla. Altri sottolineano che si farà guidare da collaboratori di livello della amministrazione per dire che potremo stare più tranquilli, ma togliendole un altro po' di carisma potenziale.
Infine, si sentono ripetere ulteriori semplicismi: Trump è Putin e, quindi, si divide a metà l'Ucraina e finisce la guerra. Sono slogan, perché la torta in gioco è grande: se ne tagli una metà, come fai con l'altra metà? Come facciamo, per capirci, a dividere la torta accontentando Russia, Cina, India, tutti i Brics e i nuovi emergenti del grande Sud del mondo ad essi collegati? Fare la divisione è molto complicato. Per accontentare gli interessi di tutti, devi essere disposto a sacrificare qualcosa e le opinioni pubbliche non sono disposte a concedere nulla. Gli Stati Uniti non sono più, per distacco assoluto, la più grande potenza economica. Cina, India e Paesi del Sud Est asiatico messi insieme pesano sempre di più: basti pensare che i Brics ormai rappresentano circa il 40% della popolazione mondiale e determinano oltre il 30% del Pil del pianeta, ma giocano ancora un ruolo del tutto marginale nel Fmi e nella Banca Mondiale così come nella definizione delle regole che guidano l'ordine globale.
Prima e dopo le elezioni americane la grande partita geopolitica, in un mondo attraversato da due guerre regionali che si allargano e si incrociano, è quella di una ormai inevitabile nuova governance globale. Di fronte a problemi così rilevanti, risalta la debolezza delle leadership in campo. Un esempio, che si aggiunge ai "colpi di teatro" del fronte opposto, è il richiamo democratico a dire "guardatevi dal matto", perché la politica contro il demone è sempre molto rischiosa. Forse la provocazione "non vorrete mica scegliere il pazzo?", non basta neppure più per avere il voto o comunque lo rende incerto, perché è un po' poco davanti a una situazione geopolitica di guerre e a un quadro degli interessi economici globali molto cambiato.
L'America era il motore del mondo, ora si propone come motore solo prevalentemente di sé stessa. Oggi le guerre commerciali si fanno con i dazi, la globalizzazione si è accorciata, l'Occidente è disunito con un'Europa frammentata e un'America che attinge a grandi risorse pubbliche, la Cina mette insieme mercato e protezionismo. Soprattutto nel mondo di prima l'Occidente era una quota significativa della popolazione mondiale ed esprimeva la maggioranza del prodotto interno lordo globale. Oggi non è più così e le tendenze demografiche come gli scenari economici previsionali accentuano un profilo di ridimensionamento.
Ricordo le parole profetiche di circa venti anni fa di Carlo Azeglio Ciampi quando già allora mi parlava come prima emergenza di una nuova Bretton Woods che prendesse atto del nuovo mondo e concepisse nuovi strumenti di governance politica e finanziaria. Ecco, con un ritardo straordinario, coloro che guideranno gli Stati Uniti e l'Europa, quella dei governi o federale che sia, dovranno fare accelerare il treno verso la nuova stazione centrale del nuovo mondo. Solo leadership politiche forti possono percorrere itinerari così complicati costruendo prosperità e riducendo le diseguaglianze. Purtroppo, il mercato della grande politica non offre molto, ma ovviamente ci auguriamo in tutti i modi di essere smentiti.