Poche decine di migliaia di voti di una dozzina di contee nei sette stati in bilico hanno deciso il futuro dell’America, ma anche quello del mondo. Trump o Harris, un testa a testa che da mesi rappresentava un rompicapo per i sondaggisti e che nel giorno decisivo si è rivelato altrettanto complicato. I primi dati mostrano un incremento dell’affluenza in alcune delle zone in cui l’esito sarà deciso sul filo di lana.
ATTESA
Donald Trump ha votato poco prima di mezzogiorno a Palm Beach, in Florida, vicino alla residenza di Mar-a-Lago dove poi ha seguito l’andamento delle elezioni. Kamala Harris aveva invece espresso il suo voto in anticipo, era tra i quasi 84 milioni di americani che avevano optato per quella formula, un numero molto alto (circa il 50 per cento degli elettori se sarà confermata l’affluenza di quattro anni fa) ma più basso del 2020 dove però c’era anche in gioco il fattore pandemia. La Harris ha organizzato la veglia elettorale alla Howard University, Washigton Dc, «la mia amata alma mater», ha ricordato. Joe Biden, giunto davvero all’ultima stazione di una lunghissima e fortunata carriera politica, ha atteso il nome del suo successore nella residenza della Casa Bianca, con i suoi collaboratori più stretti. Ma tutti - Trump, Harris e Biden - sanno che c’è uno scenario possibile: per sapere chi sarà il 47esimo presidente degli Stati Uniti potrebbe non bastare una notte, ma sarà necessario aspettare l’esito di un macchinoso conteggio dei voti negli stati in bilico per diversi giorni. Precedenti: nel 2020 ne servirono quattro di giorni. E nel 2000 (Bush contro Gore) la contesa sui numeri andò avanti per 36 giorni.
CIGNI NERI
Dopo una campagna elettorale confusa, tesa e ricca di cigni neri - dal cambio in corsa del candidato dem in seguito alla disastrosa performance al dibattito elettorale di Joe Biden ai due attentati contro Donald Trump - l’America ha affrontato una delle elezioni presidenziali più imprevedibili di sempre, che ha messo in difficoltà i sondaggisti visto che le previsioni negli stati in bilico avevano scarti talmente bassi da non assecondare nessuna certezza. E mentre l’attesa era tutta concentrata sui sette swings states - Pennsylvania, North Carolina, Georgia, Michigan, Arizona, Wisconsin, Nevada - e si guardava anche con curiosità all’Iowa, che in modo sorprendente uno degli ultimi sondaggi aveva assegnato a Kamala Harris - c’era un’altra domanda che aleggiava negli Usa: come avrebbe reagito Donald Trump a un’eventuale sconfitta? Soprattutto: come avrebbero reagito i suoi ultrà? Si rischiava un altro 6 gennaio, un nuovo assalto alla Casa Bianca? Trump, a urne aperte, è stato rassicurante, fiducioso nella vittoria, ha dichiarato che non doveva neppure dire che non ci sarebbero stati episodi di violenza: «I miei sostenitori non sono persone violente, non devo dirglielo. Sono persone fantastiche». Il nuovo amico Elon Musk, patron di Tesla, X e Space X, era con lui a Mar-a-Lago, il titolo in borsa proprio di Tesla a Wall Street è salito del 4 per cento, quello di Trump Media (che comprende anche il social simile a X, Truth), ha segnato un più 12 per cento. Kamala invece parlando in una trasmissione radiofonica si era limitata a dire: «Andate e votate, è il grande giorno». In campo anche i due vicepresidenti, con Jd Vance che ha continuato a svolgere la parte del “poliziotto buono” nella coppia con Trump, pronunciando parole che non rientrano esattamente nella narrazione dell’ex presidente, più portato a cavalcare l’estrema polarizzazione del Paese.
I VICE
Ha detto Vance rivolgendosi agli elettori che non voteranno per Trump: «Se voterete in modo sbagliato, vi amerò comunque come concittadini, e se sarò abbastanza fortunato da essere il vostro vicepresidente, combatterò duramente per i vostri sogni e la vostra famiglia». Parole che sembrano già guardare al 2028 quando Vance avrà concrete chances di correre come presidente. E Tim Walz? Il candidato alla vicepresidenza della Harris si è rivolto ai cittadini di uno stato chiave, Pennsylvania, con i suoi 19 grandi elettori: «Rimanete calmi, non mollate. Questo Stato sa bene come vincere. Che ne dite se la Pennsylvania vince per l'America?». La quiete prima di una tempesta di exit poll e proiezioni, in attesa che i vari network nella notte, come vuole la tradizione americana, assegnassero, uno dopo l’altro la vittoria a Trump o Harris. Per il sistema americano, in realtà, contavano solo due fattori: il primo, sempre possibile, quello della vittoria a sorpresa in un singolo stato (ecco Iowa, anche se vale solo 6 grandi elettori, poteva rientrare in questa categoria); il secondo, più concreto, era l’esito finale dei sette stati in bilico dal quale dipenderà il futuro degli Stati Uniti e in fondo del mondo. Prendere più voti in tutto il Paese conta il giusto, come dimostra il caso di Hillary Clinton nel 2016 sconfitta proprio da Trump nonostante avesse prevalso nel consenso popolare. Anzi: dal 1996 al 2020 i democratici hanno sempre vinto il voto popolare, ad esclusione del 2004.
DISTRIBUZIONE
Ma ciò che conta è la distribuzione di quei voti. E per questo, nella lunghissima notte degli Stati Uniti il pensiero andava ai minimi scarti con i quali Joe Biden aveva puntellato la sua vittoria quattro anni prima: 81mila voti in Pennsylvania, 74mila in North Carolina, 12mila in Georgia, 20mila in Wisconsin. Per il resto le elezioni più imprevedibili degli Stati Uniti hanno fatto segnare alcuni episodi che fanno risaltare la tensione americana: in Georgia un seggio elettorale della contea di Gwinnett è stato evacuato per un’ora a causa di un allarme bomba. «Dopo aver parlato con i dipendenti e gli scrutatori non è stata rilevata alcuna attività sospetta e il luogo è stato riaperto», hanno spiegato i funzionari di polizia. Un uomo di 25 anni è stato arrestato nel Michigan: è accusato di aver minacciato attacchi violenti in caso di vittoria di Trump. La Casa Bianca e il Capitol Hill erano blindati, c’erano cecchini, droni, barriere, metal detector, giubbotti e vetri anti proiettili in molti seggi. Inoltre, restava alta la tensione di interferenze straniere, soprattutto russe, per provare a influenzare il voto negli stati in bilico.