Elia Nuzzolo, il Max Pezzali di "Hanno ucciso l'uomo ragno": «Mi sarebbe piaciuto vivere nell'epoca degli 883, senza smartphone e godendomi la vita vera»

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Con gli ultimi due episodi, passati ieri su Sky, si è chiusa trionfalmente Hanno ucciso l’Uomo Ragno - La leggendaria storia degli 883, la serie diretta da Sydney Sibilia, interpretata da Elia Nuzzolo e Matteo Oscar Giuggioli (rispettivamente nei panni di Max Pezzali e Mauro Repetto) e rivelatasi subito un successo senza precedenti. Storia di musica, sogni e amicizia che nasce in provincia, a Pavia, e conquista l’Italia intera, la serie ha fatto rivivere gli anni Novanta con la loro effervescenza, creatività, voglia di leggerezza: un’epoca “analogica” e piena di speranza che oggi rappresenta una salutare boccata di ossigeno nel nostro mondo iper-tecnologizzato sempre più cupo e diviso, pronto a dilaniarsi sui social, devastato dalla violenza. Il successo di Hanno ucciso l’uono ragno è stato tale che non ha mancato di alimentare una polemica. A Claudio Cecchetto che, primo a credere nel potenziale degli 883, aveva accusato Max Pezzali di «irriconoscenza», ha risposto la moglie di quest’ultimo, Debora Pelamatti: «Non si può esigere che un collaboratore firmi contratto capestro alla cieca per tutta la vita». Polemiche a parte, il Pezzali della serie Elia Nuzzolo si gode il successo. Nato a Prato 24 anni fa, mamma agente immobiliare e papà avvocato che gli ha insegnato ad amare il cinema, diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia, l’attore ha conquistato la popolarità grazie alla serie sugli 883 e a un altro ruolo mitico interpretato in contemporanea: quello di Bongiorno giovane in Mike, la fiction Rai andata in onda nei giorni scorsi.

Si aspettava che “Hanno ucciso l’Uomo Ragno” avesse un successo così grande?

«A dire la verità no, all’inizio temevamo addirittura che la serie potesse piacere solo ai fan degli 883. Invece ha conquistato un pubblico trasversale».

E perché, secondo lei?

«Non è una storia soltanto di musica ma ha il potere di parlare a tutti: chiunque può rivedersi nei protagonisti che hanno un sogno e lottano per realizzarlo. La serie mette in campo dei valori universali che arrivano ai giovani».

Quali?

«Il diritto di pensare in grande e poi sfondare anche se non sei il più bello e il più figo del gruppo. Max e Mauro sono degli underdog, gli sfigatelli della scuola destinati a non avere successo. Eppure coltivano il loro sogno, fanno di tutto per realizzarlo e alla fine ce la fanno».

Da millennial, che idea si è fatto degli anni Novanta?

«È stata un’epoca più leggera, colorata e spensierata del presente. L’assenza della tecnologia aveva i suoi vantaggi: le persone potevano godersi la vita “dal vero” mentre oggi lo smartphone, che pure facilita la comunicazione, rappresenta troppo spesso un rifugio che ti impedisce di affrontare i problemi, addirittura di pensare».

A lei sarebbe piaciuto vivere trent’anni fa?

«Ci ho pensato spesso, proprio durante la lavorazione della serie, e mi sento di rispondere sì. Tanto più che non sono ossessionato dai social. In casa ho sentito molto parlare di quel periodo. Mia madre era fan degli 883 e mi ha spiegato quanto quel gruppo sia stato importante per i ragazzi della sua generazione».

Anche lei viene dalla provincia, come Pezzali e Repetto: si è rivisto in loro?

«Senza dubbio. Per i due musicisti degli 883 il mito è stato Milano, per me prima Firenze e adesso Roma. Condivido con Max e Mauro il desiderio di uscire dalla provincia senza tuttavia rinnegare le mie radici».

Che effetto le ha fatto interpretare Mike Bongiorno, un altro gigante della storia italiana?

«Ho adottato lo stesso metodo che mi ha fatto entrare nei panni di Pezzali: procedendo per step, ho cercato di dimenticare il mito per concentrami sull’umanità del personaggio».

E Pezzali ha partecipato alla lavorazione della serie?

«Altro che! L’ho conosciuto sul set, abbiamo pure cantato insieme. Lui ha seguito il progetto da vicino: quando c’era un dubbio o problema, era pronto a intervenire personalmente. È stato, per dirla con Sibilia, il grande risolutore».

Condivide, con la cosiddetta “gen Z”, il disagio per il mondo che rispetto a trent’anni fa sembra peggiorato?

«Viviamo in tempi difficili, non c’è dubbio. Ma io cerco di vedere le cose in termini positivi, provando a migliorare innanzitutto me stesso. Bisogna guardare avanti. Proprio Mike mi ha insegnato che è sbagliato sentirsi delle vittime».

Ha dei progetti?

«Per ora cerco di godermi questo momento senza fare programmi, poi vedremo».

Dopo esere stato il protagonista di “Hanno ucciso l’Uomo Ragno”, le capita di venire riconosciuto per la strada?

«Si, certo. E molti ragazzi, anche più giovani di me, si fanno avanti. Uno mi ha scritto: “Grazie, sei riuscito a farmi provare nostalgia per un periodo che non ho vissuto”. È stato il complimento più bello che potessi ricevere».

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