Prima di quell’agguato, i capi dei ribelli presero una precauzione: tutti i figli minorenni vennero spostati via dalle loro abitazioni. Con loro, poco alla volta, anche interi nuclei familiari vennero trasferiti in zone lontane o in posti anonimi e segreti. Tutti sapevano che, dopo quell’agguato, nulla sarebbe stato come prima.
Era il 28 ottobre del 2024, esattamente venti anni fa, quando vennero ammazzati Fulvio Montanino e Claudio Salierno. Non un agguato eccellente, ma un agguato impensabile: il primo a morire fu Fulvio Montanino, il braccio destro di Cosimo Di Lauro, il primo dei dieci figli di Paolo Di Lauro, in quel periodo latitante da due anni per fatti di camorra.
Uccidere Fulvietto, significava scatenare l’inferno. E inferno fu. Una mattanza di circa settanta omicidi tra il 2004 e il 2005, con la guerra tra il clan Di Lauro e i clan scissionisti (Abete, Marino, Notturno e altre famiglie), con una coda nel 2007 e nel 2011 (i “girati” contro i vecchi alleati). Una stagione da incubo, terminata grazie a decine di inchieste, processi, arresti e confische, che hanno smantellato cosche strutturate, messo all’angolo i boss dei due schieramenti in guerra, colpendo - anche se mai in modo definitivo - il sistema delle piazze di spaccio che avvelena Napoli e la sua economia.
Ma cosa accadde in quel 28 ottobre di venti anni fa? E per quale motivo, venne decretata la morte di Fulvio Montanino? Bisognava colpire Cosimo Di Lauro, che da due anni reggeva la gestione delle piazze di spaccio per conto del padre. Era un trentenne e voleva svecchiare la camorra. Voleva pensionare i vecchi soci del padre (gente tra i cinquanta anni a salire), per piazzare nei posti chiave i propri amici, a partire da Fulvio Montanino. A Scampia, Secondigliano, Arzano, Melito, Casavatore, Mugnano, i vecchi andavano rottamati. E i vecchi soci di Paolo Di Lauro, noto come Ciruzzo ‘o milionario («I soldi - dicono i pentiti - non li contava ma li pesava») decisero di ribellarsi, anche per costringere lo stesso Paolo Di Lauro a fare ritorno a Secondigliano e rintuzzare le esuberanze del figlio. Dunque, il duplice agguato Montanino-Salierno, che venne stabilito in un’aula di giustizia dai boss Abete e Marino, in una pausa del processo che si celebrava dinanzi alla quarta penale. In che modo? Spiega il pentito Gennaro Notturno: «Facemmo il segno del codino... mimando il labbiale “Fulvietto”». Quindi: uccidiamo il braccio destro di quello che ha il codino, quello - per intenderci - che sembra Brandon Lee, l’attore del film Il Corvo. Il resto è storia nota. In pochi giorni arrivarono le epurazioni. Camorra balcanica scrisse Il Mattino venti anni fa, mentre la città si interrogava su omicidi all’ordine del giorno.
Tre corpi vennero fatti trovare nel cellophane durante la visita dell’allora ministro dell’Interno Pisanu, un altro fu decapitato con un flex, mentre iniziava la galleria dei morti innocenti, estranei alla camorra: come il delitto di Gelsomina Verde, interrogata e uccisa per mano dei Di Lauro, poi data alle fiamme, per non aver rivelato il covo dei fratelli Notturno, scissionisti della prima ora. Orrore dopo orrore. Quando non c’erano omicidi, vennero dati alle fiamme i distributori di benzina tra Scampia e Secondigliano. All’inizio non si capiva il motivo, poi le indagini della Dda svelarono gli interessi degli scissionisti nel settore dei petroli. Ancora vittime innocenti: Attilio Romanò (dipendente in un negozio di telefonia); Dario Scherillo, dipendente in una agenzia di pratiche automobilistiche; Antonio Landieri, colpito mentre giocava a bigliardino, mentre provava a scappare nonostante una invalidità fisica; ma anche la stessa Carmela Attrice (madre di uno scissionista, fu uccisa per vendetta trasversale), oltre a tanti altri “birilli” colpiti - quasi sempre dai Di Lauro - che con la camorra non c’entravano niente. Il sette dicembre del 2004, la prima svolta a questo orrore, con decine di fermi firmati dal pm della Procura di Napoli Giovanni Corona, accanto ai colleghi Luigi Alberto Cannavale, Simona Di Monte, Luigi Frunzio, Marco Del Gaudio; saranno poi le indagini dei pm Maurizio De Marco, assieme a Stefania Castaldi e Vincenza Marra a portare avanti processi decisivi per isolare boss e affiliati. Ma che fine hanno fatto i registi della faida? Sepolto dal carcere duro, Cosimo Di Lauro (quello del codino alla Brandon Lee) è impazzito in cella.
Si è autodistrutto, fino a morire in un padiglione del penitenziario milanese di Opera. Da anni soffre di disturbi psichici il fratello Marco Di Lauro (F4, figlio 4), attualmente detenuto in Sardegna: è stato l’ultimo a finire in cella, nel 2019, dopo anni di strana latitanza. Pensate, era in un appartamento di via Scaglione, dove conduceva una vita da borghese. Stanato dopo la decisione del suo fedelissimo Salvatore Tamburrino di pentirsi. Ricordate? Tamburrino uccise la moglie Nora Matuozzo che gli chiedeva di troncare la relazione, poi vuotò il sacco. E gli altri? Anche sul fronte scissionista, hanno avuto tutti una fine segnata: come Gaetano Marino (moncherino) ucciso il 23 agosto del 2012 a Terracina, come per il fratello Gennaro Marino, al quale di recente la Guardia di finanza ha sequestrato beni per undici milioni di euro; come Antonio Mennetta, il capo dei girati (quelli che stavano con i Di Lauro contro gli scissionisti, per poi dare vita alla ribellione di Vannella Grassi, «come i trecento spartani»), sepolto dagli ergastoli. Una saga criminale in un quartiere che prova in tutti i modi a cambiare pelle, che ha offerto alle nuove generazioni il volto dei ragazzi morti senza colpa, per errore e per orrore: a cui hanno intitolato strade e stadi, dove 20 anni fa, esplodeva Gomorra.