Un’altra tempesta. Che ora minaccia di lambire il nuovo inquilino del Collegio Romano, Alessandro Giuli. Insediatosi come ministro della Cultura mentre ancora si raccoglievano i cocci del Boccia-gate, lo sconquasso che aveva costretto alle dimissioni Gennaro Sangiuliano. Stavolta a lasciare, dopo soli dieci giorni dal conferimento dell’incarico, è Francesco Spano, l’ormai ex capo di gabinetto del ministro e già segretario generale del Maxxi con Giuli presidente. Fortemente voluto dal titolare della Cultura come braccio destro al ministero, nonostante le resistenze e le contrarietà dei Pro-Vita e di un pezzo di Fratelli d’Italia. Con alcuni dirigenti locali meloniani che – è emerso nelle ultime ore – non solo avevano osteggiato la scelta di Spano, manager vicino al mondo Lgbtq+, ma gli avevano perfino rivolto insulti omofobi in una chat interna (salvo poi esserne espulsi).
IL TERREMOTO
A scatenare il nuovo terremoto nelle stanze del Mic è un’inchiesta di Report. Che per la puntata in onda domenica, annuncia un’inchiesta su un «nuovo caso Boccia al maschile» al Collegio Romano, che coinvolgerebbe pure «alte cariche» di FdI. È così che cominciano le indiscrezioni. Che puntano dritto al neo capo di gabinetto del ministro Giuli, nominato in sostituzione di Francesco Gilioli. Nel mirino finisce in particolare il contratto di consulenza tra il Museo delle arti del Ventunesimo secolo e il marito di Spano, l’avvocato Marco Carnabuci. I due si sono uniti civilmente alcuni mesi fa. Ma il punto è che durante la gestione Giuli con Spano segretario generale, secondo quanto trapelato, Carnabuci sarebbe stato titolare un contratto di consulenza con il Museo da 14mila euro trimestrali. Il sospetto, insomma, è quello di un incarico a rischio conflitto d’interesse, nonostante l’avvocato fosse già stato titolare di un contratto con il Maxxi dal 2018 al 2021, come responsabile dei dati personali, quando a presiederlo c’era Giovanna Melandri.
All’ora di pranzo arrivano le dimissioni di Spano. «Il contesto venutosi a creare, non privo di sgradevoli attacchi personali – scrive l’ormai ex capo di gabinetto – , non mi consente più di mantenere quella serenità di pensiero necessaria per svolgere questo ruolo». Giuli si schiera a fianco del collaboratore: «Con grande rammarico, dopo averle più volte respinte, ricevo e accolgo le dimissioni del capo di gabinetto», recita una nota del ministro. «A lui va la mia convinta solidarietà per il barbarico clima di mostrificazione cui è sottoposto in queste ore». Fonti del Mic precisano intanto che, all’arrivo di Giuli al Maxxi nel 2022, Spano era già segretario generale: non fu lui a indicarlo, insomma. Alle 15, il ministro esce dal Collegio Romano diretto a Montecitorio per il question time. I cronisti lo incalzano, lui resta impassibile: «Volete la notizia del giorno? L'apparenza inganna, commedia francese», sorride criptico, riferendosi probabilmente a un omonimo film del 2001 (nel quale il protagonista si finge omosessuale per evitare il licenziamento). Esaurito il question time, il ministro si dirige a Palazzo Chigi, per un colloquio di mezz’ora con il sottosegretario Alfredo Mantovano. Ufficialmente per discutere di Manovra. Ma sarebbe ingenuo pensare che il patatrac in corso sia rimasto fuori dalla stanza.
I meloniani, in ogni caso, si schierano compatti a difesa del ministro. Lo stesso fa la premier: «Non ho parlato con Giuli né quando lo ha nominato né quando si è dimesso Spano», premette la leader di FdI. «Leggo che ci sarebbe un conflitto di interesse tra il capo di gabinetto e un'altra persona al Maxxi, che risale al tempo di Giovanna Melandri: nessuna di loro è stata nominata da Giuli». Dunque, è la linea di Meloni e del partito, bisogna chiederne conto a chi c’era prima. Meloni lamenta «due pesi e due misure»: «Se lavori con la destra è tutto più complicato, questo è quello che ho capito di questa vicenda».
LA REPLICA E LE CHAT
Ma ecco che arriva la replica di Melandri: «L'avvocato Marco Carnabuci – afferma l’ex presidente della Fondazione – è stato chiamato dal Maxxi nel giugno 2018, quando Francesco Spano non aveva nulla a che fare con il museo». Come a dire: nessun conflitto d’interesse, all’epoca. «Quello che è in corso – chiosa – è un orribile regolamento di conti di una destra omofoba». Il riferimento è a un caso esploso nel 2017, quando l’ex capo di gabinetto del Mic era al vertice dell’Unar (l’ufficio governativo anti-discriminazioni razziali). E finì in un servizio dalle Iene, accusato di aver finanziato un’associazione nei cui locali si praticava sesso a pagamento. Fu aperta un’inchiesta, in cui non emersero irregolarità nell’operato di Spano. Una vicenda tornata alla ribalta in alcune chat di FdI con la sua nomina al Mic. Con Fabrizio Busnengo, dimessosi da coordinatore di FdI nel Municipio IX a Roma, che in un messaggio lo ha definito un «pederasta» con «posizioni ignobili sui temi Lgbtq». Posizione stigmatizzata dal coordinatore romano Marco Perissa, che lo ha espulso dalla chat. Busnengo si difende: «Ho solo riportato il sentiment della base». L’impressione è che gli strascichi del caso, nonostante dentro FdI si tenda a ridimensionare molto le eventuali “rivelazioni” di Report, potrebbero non essere finiti.
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