Conte licenzia il comico. Stop ai 300mila euro. Nati per trasparenza e democrazia muoiono tra ombre e mediocri ricatti
Cala il sipario sulla parabola triste del comico che voleva farsi Re. Fondato a Milano il 4 ottobre (giorno di San Francesco) del 2009, il Movimento 5 Stelle, per come lo abbiamo conosciuto fino a oggi, è morto il 24 ottobre del 2024 nelle pagine dell'ultimo libro di Bruno Vespa. Nato per mano di un comico e di un visionario imprenditore digitale, affossato da un avvocato. Concepito per rendere direttissima la democrazia e trasparentissime le istituzioni e arenatosi tra opacità, scartoffie e carte bollate e oramai bollite. Adesso lo sappiamo, l'utopia grillina ha un prezzo, anche per il suo fondatore: 300mila euro. Per tutto il resto ci sono i soldi dei contribuenti, che hanno foraggiato per anni gli esperimenti sociali e politici dei dilettanti allo sbaraglio.
Dunque, alla fine, è successo l'inevitabile: Conte ha tolto il reddito di cittadinanza a Grillo. E che reddito: la sopraccitata collaborazione da trecentomila euro all'anno tra il comico e il Movimento 5 Stelle. Non è solo una questione simbolica - il definitivo parricidio nei confronti del cofondatore -, ma anche pratica: perché ballano molti soldi e Grillo, come è noto, è particolarmente sensibile all'argomento. Dietro alle più sofisticate speculazioni sui massimi sistemi ci sono sempre state pedestri discussioni sulle minime spartizioni della cassa. E ora che l'ardore dei primi anni ha raggiunto temperature artiche, rimangono evidenti solo giganteschi iceberg di meschinità bagatellari da partito padronale. Cala il sipario su Grillo, ma cala anche sul Movimento. Perché l'uno si tira dietro l'altro, sublimando l'unica vera ragione sociale di questa avventura politica: il cupio dissolvi.
La notizia ufficiale, ampiamente anticipata dai mal di pancia degli ultimi mesi, arriva appunto con il consueto libro natalizio di Bruno Vespa, come da tradizione consolidata della politica di Prima, Seconda e anche Terza Repubblica. E già questo è un bel paradosso per gli anti-casta. «Beppe Grillo è responsabile di una contro-comunicazione che fa venire meno le ragioni di una collaborazione contrattuale - attacca l'ex premier Conte -. Grillo sta portando avanti atti di sabotaggio compromettendo l'obiettivo di liberare energie nuove». Una rottura assoluta e a suo modo storica, che eclissa un'era della politica italiana. Il licenziamento di Grillo dal partito che lui stesso ha creato e al quale ha dato il nome è l'ultimo passo della contizzazione del Movimento. Morto Gianroberto Casaleggio, fatto da parte il figlio Davide, dopo l'allontanamento del garante le radici con il passato vengono definitivamente recise. Certo, la coabitazione era ormai insostenibile e Grillo, come il nonno matto alla cena di Natale, continuava a sproloquiare contro Conte dal suo blog sontuosamente pagato con i soldi del Movimento del quale il medesimo Conte è segretario. Tutto molto surreale, tutto molto grillino. Ammesso che così si possa ancora dire. La misura dell'impatto politico ce la restituisce il fatto che il Movimento rischia di rimanere senza il nome dei suoi seguaci: fatto fuori Grillo non potranno certo chiamarsi grillini, ma Conte ha carisma e seguito tali da generare i contini?
Grillo, dunque, stava lucidamente portando avanti degli atti di sabotaggio nei confronti del partito, ma quello del mestatore - persino della sua creatura - è sempre stato il suo ruolo, pretendere che ne interpreti un altro è come chiedere a un piromane incallito di intraprendere una carriera da pompiere. Con il licenziamento di Beppe Grillo il M5S chiude la sua fase onirica (ora, a bocce ferme e stelle cadute, possiamo dirlo serenamente: ci sono stati più incubi che sogni) e distruttrice, per passare direttamente alla fase della rassegnazione. L'antipolitica si è fatta politica, chi voleva distruggere i palazzi del potere si è ritrovato ad abitarli senza essere neppure riuscito a ristrutturarne le stanze più usurate (bonus 110% nonostante).
Il movimento nato dal basso è stato spento dall'alto.
Così, a quindici anni dalla fondazione del Movimento e a 17 dal primo V-Day, Beppe Grillo, lo sdoganatore del vaffa in politica, viene licenziato con un vaffa dal suo partito. La decrescita, almeno per il comico, è stata assai infelice. Perché Grillo voleva sfrattare la politica, ma alla fine la politica ha sfrattato lui.