Intervista a Eike Schmidt: «Napoletani, riprendetevi il museo di Capodimonte»

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«Bentornati». I 18 capolavori di Capodimonte tornano al Museo dopo un lungo viaggio tra Parigi e Torino. «Bentornati ai capolavori, ma vorrei dire soprattutto bentornati ai napoletani, perché devono venire qui, Capodimonte non è periferia, fa parte del cuore della città, è facilmente raggiungibile. Ho parlato con il sindaco per l’attivazione delle navette dal centro in primavera, ma comunque con i mezzi pubblici si può arrivare comodamente. Venire qui è facile, anzi, è necessario». Il direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte Eike Schimdt finalmente riavrà a disposizione l’intera collezione.

È un punto di partenza per il rilancio del museo’?
«Senza i nostri capolavori abbiamo avuto un calo del 27% nelle visite. Solo nel gennaio 2024 le abbiamo stabilizzate su quelle del 2022».

Numeri impietosi.
«Voglio subito dire che Capodimonte per importanza della collezione in Italia, sia per il valore intrinseco che per il fatto che le opere provengono da tutte le regioni e coprono un incredibile arco di tempo, è secondo solo agli Uffizi. Ma, ahime, non è il secondo museo più visitato. Ci sono altre strutture che ci superano. I numeri non rendono giustizia».

E si possono migliorare?
«Solo in quattro occasioni, 2004,’05, ‘17 e ‘19, si sono avuti più di duecentomila accessi all’anno. Un numero che vorrei superare stabilmente durante gli otto anni che rimarrò qui. Un trend da cambiare. Non subito perché ci sono ancora lavori in corso. Verranno chiuse alcune sale, altre ne verranno aperte. Ma c’è la possibilità di fare ben altri numeri».

Vuole rimanere per un periodo così lungo a Napoli? In tanti hanno criticato la scelta di candidarsi sindaco a Firenze.
«Ho passato le mie ferie qui. Conosco da anni Napoli, Pompei, i Campi Flegrei. Feci domanda per Capodimonte già nel 2015, quando facevo il curatore negli Usa, poi andai agli Uffizi. Firenze è la mia casa insieme a Friburgo. Nel mio tempo libero sono lì perché devo rispondere a 58mila persone che mi hanno votato. Ma, appunto, uso il mio tempo libero. E poi sono un dirigente di prima fascia, e come tale qualche volta devo lavorare anche in altre città. Come a Roma o nella stessa Firenze. Ma per sei giorni e mezzo sono qui a Capodimonte perché c’è tanto da lavorare e per me qui è una sfida. Napoli è una città incredibile. Il Mann, per esempio, è il più importante museo archeologico del mondo, più del British Museum, del Louvre o del museo dell’Acropoli di Atene».

Quindi si può dire che adesso inizia il suo mandato.... Che Capodimonte sarà?
«Come detto la collezione è inestimabile. Uno studente può venire qui e quello vede sicuramente gli basterà per la storia dell’arte nella scuola. Anzi, forse anche per i primi anni universitari. Ma noi abbiamo un master plan che prevede una crescita e per ora finanziato in minima parte, solo il 20%. . E spero durante il mio mandato di avere tutti i fondi. Però siamo già partiti e per me la vocazione di Capodimonte è quella dell’arte contemporanea. Già nel ‘700 funzionava così. Venivano ospitate opere del tempo. E i visitatori qui venivano a piedi».

Per questo nella sala degli arazzi di Pavia, dove sono stati messi i 18 capolavori (con opere tra gli altri da Tiziano al Parmigianino, da El Greco a Bernardo Cavallino, da Artemisia Gentileschi a Francesco Guarino) “Vesuvius” di Andy Warhol e proprio di fronte alla “Flagellazione” del Caravaggio?
«La collezione è fortemente indentitaria dello spirito napoletano. Appartiene alla città. La “Flagellazione” è stata dipinta a Napoli per la chiesa di San Domenico Maggiore ed è custodita a Capodimonte dal 1972. Il “Vesuvio”, del 1985, è una donazione di Lucio Amelio. Abbiamo voluto mettere i due quadri di fronte anche nell’ottica della continuità. Nel ‘78 Raffaele Causa fece un primo raffronto tra Alberto Burri e il Caravaggio. Questo per dimostrare innanzitutto la contemporaneità del Merisi. E io voglio lavorare nell’ottica della continuità perché da Causa per finire al mio predecessore Bellenger ci sono stati grandi direttori, dei veri giganti».

I 18 quadri sono esposti tutti in un’unica sala
«Si, quella degli Arazzi della battaglia di Pavia. Un altro pezzo importante di Capodimonte per il quale la settimana scorsa sono andato a San Francisco. Saranno in California e poi in Texas, Quindi per i 500 anni dalla loro creazione, saranno a Pavia».

Ancora dei prestiti quindi?
«E ce ne saranno ancora. Per far conoscere Napoli e Capodimonte nel mondo. Ma quello che posso assicurare è che non manderemo più via tutta la collezione come è accaduto, sicuramente per un fatto eccezionale. Collaboreremo con altre istituzioni prestando qualche pezzo, ma il museo non perderà più il suo tesoro e per così tanto tempo».

Continuiamo con la vocazione del museo...
«Le ceramiche e la porcellana, manifatture storiche di Capodimonte, sono conservate attualmente in un’unica sala. Amplieremo la collezione, mostrando anche tutti i pezzi della Raccolta borobnica, per esempio la porcellana di Vienna, e l’ospiteremo in 12 sale. Un progetto molto interessante e che riscuoterà interesse».

L’arte contemporanea?
«La collezione donata nel 2022 da Lia e Marcello Rumma, oltre 70 pezzi, è destinata alla Palazzina dei Principi. I fondi sono già stati stanziati. Abbiamo un’altra idea, invece, per la quale i soldi, circa 20 milioni, sono ancora da reperire».

Quale?
«La Casa della Fotografia “Mimmo Jodice”che sarà ospitato nell’edificio Cataneo. Un’opera complessa, che custodirà il suo archivio, donatoci nel 2022 dal maestro, compresa anche la sua camera oscura».

E il Real Bosco?
«Io voglio che i napoletani tornino a Capodimonte. Il Pnrr ha stanziato dei soldi per l’eliminazione delle barriere fisiche e per il miglioramento dell’accessibilità al bosco e al museo, e anche per l’efficientamento energetico. Sono sfide che vogliamo vincere perché Capodimonte è il cuore di Napoli»

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