Non ce la facciamo più con i gufi. Sono ormai anni che prevedono crescite al ribasso smentite clamorosamente a consuntivo. I fatti, quelli veri, ci permettiamo di citare l'agenzia Fitch, sono che l'economia italiana è cresciuta del 5,5% dal post Covid a oggi contro una media dell'eurozona del 3,9%. I fatti, quelli indiscutibili, ci dicono che l'Italia non solo è con la Germania l'unica grande economia europea ad avere una posizione finanziaria netta positiva, ma addirittura a fine giugno del 2024 vede aumentare il saldo tra debiti e crediti internazionali da 158 a 225 miliardi elevandolo al 10,5% del prodotto interno lordo (Pil).
I fatti, quelli inconfutabili, ci dicono che San Giovanni a Teduccio, sì avete capito bene, San Giovanni a Teduccio periferia est di Napoli, non è più solo un quartiere degradato come vogliono stereotipi e luoghi comuni, ma è indicato dalla principale agenzia delle imprese digitali britanniche come esempio di iniziativa di grande successo per lo sviluppo dei territori con un ruolo preponderante di start up innovative. Il cambio di paradigma, che il Mattino ha evocato con il mio editoriale di esordio alla direzione di questo giornale, fa parte delle cose che sono avvenute e vanno consolidate. Cambio di paradigma non significa inventare una narrazione, sarebbe gravissimo, ma piuttosto documentare ciò che di buono è avvenuto per trasferire quella fiducia contagiosa necessaria a fare il molto che si deve ancora fare.
È un dato che appartiene al mondo della realtà, non dei sogni, quello che segnala che, dopo un quarto di secolo con l'Italia fanalino di coda della crescita europea e il Mezzogiorno fanalino del fanalino di coda, le cose si sono invertite drasticamente. Per cui il nostro Paese è passato dai vagoni di coda a quelli di testa del treno europeo e ha potuto farlo anche grazie ai ritmi di crescita da locomotiva del Mezzogiorno italiano. In termini di prodotto interno lordo, e soprattutto di export e di nuova occupazione.
Chi non è accecato dal pregiudizio non può non riconoscere che questi risultati riflettono di certo la forza di un tessuto produttivo che solo un racconto pervicacemente omissivo poteva nascondere, ma sono anche figli di una precisa scelta di campo di politica economica operata dal governo e condivisa dalle anime più illuminate delle amministrazioni territoriali di ogni colore politico. La scelta strategica di chiudere la stagione delle derive assistenziali, continuando a occuparsi dei poveri veri non di quelli inventati, e concentrare invece tutti gli sforzi sugli investimenti produttivi pubblici e privati tornando a mettere al centro il Mezzogiorno.
Questo cambio di paradigma è prima di tutto culturale e fa bene Giorgia Meloni a rivendicarlo, come farebbero bene strati sempre più larghi delle opposizioni a dare una mano per migliorare i livelli di attuazione delle due grandi riforme strutturali già realizzate. Che riguardano la nuova macchina pubblica per aprire i cantieri, frutto della riunione delle deleghe europee e delle semplificazioni introdotte, e la incentivazione fiscale automatica degli investimenti privati. Coniugate entrambe con il nuovo grande attrattore globale che è la zona economica speciale unica (Zes) e il suo carico aggiuntivo di sconti fiscali e contributivi di ogni tipo.
Le opposizioni, in una grande democrazia, non hanno altro modo per fare valere al meglio le loro ragioni che garantire sempre la collaborazione istituzionale necessaria senza indulgere alla propaganda cercando e ottenendo piuttosto il massimo di ascolto. Questo è quello che serve oggi in economia, come in politica estera, dove questa collaborazione la si può chiamare direttamente coesione. Che è esattamente la stessa che serve in casa. Perché l'interesse nazionale è unico e il futuro dei nostri giovani appartiene a tutti.