Meloni vede Metsola: blindatura per Fitto e avanti sui migranti

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L’ultimo miglio. È quello che Raffaele Fitto deve ancora percorrere prima di poter indossare la divisa da Vicepresidente esecutivo e commissario europeo. Quello che ieri, Giorgia Meloni e Roberta Metsola, hanno provato a blindare nell’ora di colloquio avuto a palazzo Chigi anche in nome di un’amicizia che va avanti sin dall’insediamento della premier.

Al di là della cortesia dettata dalla presenza a Roma della Presidente del Parlamento europeo che oggi sarà ricevuta da Papa Francesco in Vaticano e dalla necessità di discutere delle tante crisi internazionali o del prossimo Consiglio europeo informale che si terrà a Budapest il 7 e l’8 novembre (a cui Viktor Orbàn spera di avere almeno in videocollegamento un Donald Trump potenziale fresco vincitore delle elezioni Usa), l’incontro di ieri sera è tornato utile soprattutto per fare il punto sullo status quo e sulle prossime mosse italiane. «Per me il fatto che l'Italia abbia una vicepresidenza» della Commissione «è un gesto per un Paese grande e fondatore» ha scandito non a caso Metsola, ospite di Bruno Vespa su Rai 1 subito dopo l’incontro e prima di ricordare «le procedure» a cui è sottoposta l’indicazione e la convinzione che il ministro italiano possa essere il nome giusto per la vicepresidenza con delega alla Coesione e alle Riforme: «Non ho dubbi che farà il lavoro di commissario in modo molto buono».

LE PROCEDURE
Fitto verrà infatti audito il 12 novembre a Strasburgo, uno scoglio che a Roma contano superi agevolmente. Non solo per il curriculum che il ministro degli Affari Ue, del Sud, del Pnrr e della Coesione può squadernare, ma soprattutto per l’intesa a pacchetto che prevede oltre al sostegno di Popolari e Liberali (e di grosse porzioni dei Patrioti di Matteo Salvini, da Viktor Orban agli olandesi di Geert Wilders) quello dei Socialisti europei.

«Un esercizio politico» come lo chiama uno dei colonnelli di Fratelli d’Italia a Bruxelles, che garantirà il posto anche alla spagnola socialista Teresa Ribera. La cui audizione, a scanso di colpi di coda, si terrà solo quando l’indicazione di Fitto sarà già avvenuta. «Difficile che qualcosa possa andare storto in questa fase» è l’idea dei conservatori, semmai da “costruire” c’è il passaggio immediatamente successivo. Dopo le valutazioni su ogni singolo Commissario da parte delle commissioni di riferimento dell’Europarlamento, a concludere l’iter per la nomina saranno proprio le preferenze dei deputati europei. L’ultimo miglio appunto, in cui la nuova Commissione a guida Ursula von der Leyen dovrà essere approvata in toto.

Un risultato sulla carta scontato che però non lascia del tutto tranquilli i conservatori. Se pure l’idea che le delegazioni di Paesi come Germania o Spagna (entrambi a guida socialista) possano paralizzare l’esecutivo europeo facendo saltare il banco all’ultimo è considerata «poco probabile», lo è pure che le ultime votazioni a Strasburgo sembrano aver palesato il grande progetto delle destre europee di formare sui dossier all’Europarlamento delle maggioranze alternative a quella che ha sostenuto von der Leyen. Il sospetto, quindi, è che il 26 e 27 novembre possa esserci una sorta di reazione tardiva allo spettro di quella che è stata già ribattezzata «maggioranza Venezuela», perché manifestatasi durante il voto di condanna al regime di Nicolás Maduro nel Paese sudamericano.

LA MAGGIORANZA
Una maggioranza alternativa che è destinata ad avere un peso determinante a Strasburgo, specie per quanto riguarda dossier considerati identitari come quello migratorio. Mercoledì, mentre l’Italia era alle prese con gli sviluppi del caso Giuli-Spano, il Ppe ha sostenuto un emendamento dell’Afd per supportare i muri anti migranti e gli hub di rimpatrio presentati al testo sulle priorità politiche del bilancio Ue 2025. Una vittoria di breve durata però poiché successivamente l'intero testo emendato sul bilancio Ue per il prossimo anno è stato bocciato. Ma i due emendamenti approvati e poi decaduti con il voto negativo espresso dall'aula sull'intero testo la dicono lunga sull'aria che tira a Strasburgo e sulla possibilità che situazioni di questo tipo si ripetano. Situazioni che Meloni, a suo modo, è pronta a sfruttare. Specie se dovesse rendersi necessaria una prova di forza per “sbloccare” il cosiddetto modello Albania.

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